Parte seconda
10. Le sindromi dolorose distrettuali

10.c La sindrome algodistrofica: approccio multidisciplinare

Indice dell'articolo

Introduzione

La sindrome algodistrofica, o, più correttamente, sindrome dolorosa regionale complessa (Complex Regional Payn Syndrome, CRPS-1), è caratterizzata da manifestazioni cliniche sproporzionate rispetto alla noxa patogena. L’evento scatenante è nel 50-75% dei casi un trauma o un intervento chirurgico e l’immobilizzazione conseguente; più di rado è secondaria a patologie ischemiche cerebrali o cardiache, a neoplasie o ad alcune malattie infettive. Non è infrequente, comunque, osservare casi spontanei di SA/CRPS-1 senza che sia possibile ricondurla a un evento scatenante nella sede compromessa. Le regioni più colpite sono la mano e la spalla nell’arto superiore, e il piede e il ginocchio nell’arto inferiore.

Le manifestazioni cliniche possono essere raggruppate in 3 gruppi principali:

  1. alterata sensibilità: iperalgesia e allodinia;
  2. alterazioni vasomotorie e sudomotorie: edema, asimmetria di colorito e temperatura o sudorazione;
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    Figura 1 — CPRS dopo immobilizzazione con gesso per frattura composta della I falange del V dito della mano destra
  3. alterazioni motorie e trofiche: osteopenia od osteoporosi localizzata, limitazione dei ROM (Range Of Motion) articolari, ipotonia e ipotrofia muscolari, tremori e distonie, alterazione degli annessi cutanei (unghie e peli).
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    Figura 2 — Rx comparativa delle mani in paziente con pregressa frattura di polso: osteoporosi della mano e del polso a sinistra

I criteri classificativi e diagnostici proposti dalla IASP (International Association for the Study of Pain) sono molto sensibili, quindi raramente viene mancata una diagnosi, ma poco specifici, con conseguente rischio di sovradiagnosi. Per tale motivo sono state pubblicate delle modifiche che, grazie a un aumento della specificità e a una riduzione della sensibilità, hanno ottenuto una maggiore precisione diagnostica, a scapito peraltro di una percentuale di pazienti che non rientra più nei criteri di CRPS tipo 1, né di CRPS tipo 2 (causalgia — da lesione nervosa) e per la quale si è proposto un terzo tipo (CRPS tipo 3 — non altrimenti specificata). A oggi, tuttavia, non esistono dei criteri universalmente accettati.

La difficoltà di classificare questa sindrome e la presenza di manifestazioni cliniche del tutto aspecifiche che si possono presentare in quadri clinici eterogenei possono facilmente indurre a un errore o a un ritardo diagnostico.

Meccanismi patogenetici

Nonostante il recente fervore scientifico, le cause non sono state del tutto chiarite, ma si sta facendo sempre più consistente l’ipotesi che tale sindrome sia il risultato dell’interazione di più meccanismi patogenetici che danno ragione della variabilità di manifestazioni cliniche tipica di questa malattia:

  1. flogosi neurogena sostenuta da neuropeptidi e citochine proinfiammatorie;
  2. disfunzione del sistema nervoso simpatico e sensitivizzazione centrale con cronicizzazione del dolore e sua alterata percezione;
  3. danno e/o disfunzione del microcircolo, che causa ipossia locale;
  4. acidosi conseguente all’ipossia correlata all’osteoporosi localizzata, che, causando l’idrolisi delle idrossiapatiti, procurerebbe la rapidità dell’attacco;
  5. disuso di protezione, che può causare sindrome neurologica tipo sindrome di neglect;
  6. processo di guarigione aberrante.

Diagnosi e strumenti diagnostici

Il rischio di sovradiagnosi è sempre da tenere in considerazione. Un’anamnesi dettagliata e un attento esame obiettivo sono il principale strumento a nostra disposizione per formulare il dubbio diagnostico. A questo scopo i criteri diagnostici della IASP (Tab. 1) sono un valido supporto, che chiunque si occupi di tale patologia dovrebbe tenere presente. Le indagini laboratoristiche e strumentali sono necessarie per confermare la diagnosi o per escludere le patologie che rientrano nella diagnostica differenziale.

Criteri clinici attualmente impiegati per la diagnosi di sindrome algodistrofica (CRPS-1)
(Criteri di Budapest)

1. Dolore continuo sproporzionato all’evento scatenante

2. Il paziente deve riferire la presenza di almeno 1 sintomo in 3 delle 4 seguenti categorie:

- Alterazioni sensoriali: iperestesia e/o allodinia
- Alterazioni vasomotorie: asimmetria di temperatura e/o alterazione e/o asimmetria del colorito cutaneo
- Alterazioni sudomotorie/edema: edema e/o anomalie e/o asimmetria della sudorazione
- Alterazioni motorie/trofiche: ridotta escursione articolare e/o anomalie motorie (ipostenia, tremori, distonia) e/o alterazioni trofiche (cute, unghie, annessi piliferi)

3. Deve essere obiettivabile almeno 1 segno in 2 o più delle seguenti categorie:

- Alterazioni sensoriali: iperalgesia e/o allodinia
- Alterazioni vasomotorie: evidenza di un’asimmetria al termotatto e/o alterazione e/o asimmetria del colorito cutaneo
- Alterazioni sudomotorie/edema: evidenza di edema e/o anomalie e/o asimmetria nella sudorazione
- Alterazioni motorie/trofiche: ridotta escursione articolare e/o anomalie motorie (ipostenia, tremori, distonia) e/o alterazioni trofiche (cute, unghie, annessi piliferi)

4. Assenza di un’interpretazione diagnostica alternativa

Tabella 1 — Criteri diagnostici IASP per la CRPS-1.

Non esistono test specifici in grado di confermare la diagnosi di SA/CRPS-1. Tuttavia, la diagnosi differenziale include altre forme di neuropatie, oltre a una serie di malattie metaboliche e sistemiche, vascolari e reumatologiche. Inoltre entrano in diagnostica differenziale anche patologie gravi e neoplasie, per cui, malgrado il quadro clinico possa essere classico, è comunque indicato richiedere gli accertamenti.

- Esami di laboratorio con indici di flogosi, parametri del metabolismo osseo e dell’autoimmunità;
- EMG/ENG (Elettromiografia/Elettroneurografia): fondamentali per valutare le alterazioni neurofisiologiche che sottendono i sintomi;
- Rx: nelle fasi più avanzate, permette la visualizzazione della demineralizzazione ossea e di eventuali fratture o cedimenti ossei;
- scintigrafia ossea trifasica: presenta il vantaggio, rispetto alla Rx, di risultare positiva anche in fasi precoci di malattia;
- RM: in grado di valutare sia le strutture articolari, l’edema osseo e i tessuti molli. È molto sensibile in fase precoce, ma poco specifica;
- ecocolordoppler vascolare per la diagnostica differenziale;
- QST (Quantitative Sensory Test): utile per discriminare la soggettività del paziente nel testare iperalgesia e allodinia. Test ripetibile e di basso costo, utilizzabile anche come monitoraggio della risposta alla terapia.
- AFT (Autonomic Function Tests), quali la flussimetria laser-doppler o la misurazione infrarossa della temperatura. Come per il QST, possono essere impiegati per il monitoraggio.

Raramente risulta necessario eseguire le biopsie cutanee, muscolari o dei nervi periferici, da riservarsi a casi ben specifici.

Terapia farmacologica

A causa della mancanza di criteri classificativi univoci e delle ancora scarse conoscenze dei meccanismi fisiopatologici sottendenti questa malattia, gli studi scientifici in grado di dimostrare l’efficacia di una terapia sono difficili e i dati derivanti sono spesso non confrontabili, per cui esistono pochi dati di terapia basati sull’evidenza.

- Corticosteroidi. La loro efficacia è stata dimostrata specie nelle fasi precoci di malattia, quando la flogosi è evidente. Le recenti scoperte sui meccanismi di mantenimento della flogosi neurogena hanno ridato importanza a tali farmaci.
- Bisfosfonati. Benché il meccanismo d’azione non sia completamente noto, l’efficacia dei bisfosfonati è stata dimostrata in diversi studi; in particolare il neridronato ha ottenuto l’indicazione da parte dell’agenzia del farmaco per la SA/CRPS-1 in fase acuta precoce.
- Calcitonina. La somministrazione di calcitonina per via intranasale è risultata efficace nel ridurre il dolore.
- Oppioidi. Gli oppioidi sono gli analgesici di scelta per il dolore della SA/CRPS-1, ma devono essere parte integrante di una terapia del dolore combinata.
- FANS. Non esistono dati di letteratura certi, ma possono essere indicati nel dolore lieve moderato oppure coadiuvare la terapia con analgesici.
- Gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina e quelli della serotonina noradrenalina sono farmaci che trovano indicazione nel dolore neuropatico, per cui possono essere usati in combinazione con altri analgesici.
- Bloccanti del canale del sodio. La lidocaina si è dimostrata efficace, nelle formulazioni sia endovenose che transdermiche, nel ridurre il dolore nella sede di applicazione. Può trovare applicazione anche durante la riabilitazione, per consentire l’intervento riabilitativo stesso quando il dolore ne impedirebbe lo svolgimento.
- GABA agonisti. Il baclofen trova indicazione nel trattamento sia delle spasticità che delle neuropatie.

Altre opzioni farmacologiche che hanno trovato indicazione nel trattamento della SA/CRPS-1 sono le infusioni di ketamina, la fentolamina, i betabloccanti, la clonidina e le immunoglobuline endovena.

Segnaliamo infine che tra le opzioni terapeutiche sono stati riportati, con risultati alterni, pure il blocco del simpatico, la simpaticectomia e la neurostimolazione midollare.

Trattamento riabilitativo

Il trattamento riabilitativo è un aspetto fondamentale del programma terapeutico e va iniziato il più precocemente possibile. Il protocollo riabilitativo dev’essere ritagliato sul paziente e sulla fase di malattia, adattandolo tempestivamente all’esigenza, alla tollerabilità e al variare delle manifestazioni cliniche.

Pertanto risulta fondamentale la stretta collaborazione tra medico e fisioterapista per la formulazione della corretta strategia terapeutica e riabilitativa. I trattamenti devono essere complementari e sequenziali per ottenere il maggior beneficio possibile, accompagnando il paziente durante l’intero decorso di malattia.

Nelle fasi flogistiche, dove prevalgono il dolore, l’edema, l’impotenza funzionale e il disuso di protezione, la riabilitazione dovrà essere indirizzata essenzialmente al supporto della terapia farmacologica, alla prevenzione della rigidità articolare e alla promozione dei movimenti spontanei.

Alcune fra le tecniche più appropriate sono l’elettrostimolazione (TENS, Transcutaneous Electrical Nerve Stimulator), la Stimolazione Elettrica Neuromuscolare (NMES), la mirror-therapy e la terapia biofisica.

La TENS può essere considerata il trattamento elettivo di supporto per la cura del dolore. Il meccanismo d’azione della TENS si basa sul potenziamento del sistema di gate control midollare, interferendo quindi con la trasmissione degli stimoli dolorosi periferici verso il sistema nervoso centrale. Per avere un effetto analgesico, la TENS dev’essere applicata almeno 20 minuti ogni ora, per i primi giorni, e 20 minuti ogni 2 ore, per i giorni seguenti. Per questo motivo dev’essere disponibile un’unità TENS portatile per il paziente, a uso domiciliare.

La NMES, quando tollerata, ha lo scopo di ottenere una contrazione muscolare adeguata dell’arto in disuso, di protezione, e aiuta a ridurre l’edema per stimolazione della pompa muscolare.

La mirror-therapy è una tecnica che permette una riprogrammazione funzionale dello schema corporeo, con l’effetto pratico di far diminuire il dolore e quindi di riacquisire gradualmente piccoli movimenti: al paziente viene chiesto di muovere l’arto sano, che viene riflesso su uno specchio in modo da dare l’impressione che l’arto colpito si muova senza dolore, ripristinando gradualmente i movimenti.

La stimolazione biofisica articolare è una terapia che, utilizzando campi elettromagnetici pulsati, previene la degenerazione della cartilagine e l’osteoartrosi. È una terapia che agisce su tutte le strutture articolari — cartilagine, osso subcondrale, legamenti, menisco, sinovia — e viene utilizzata dopo interventi chirurgici per controllare l’infiammazione, risolvere il dolore e accelerare il recupero funzionale.

A queste terapie vanno associate le mobilizzazioni attive precoci assistite, da eseguire sotto la soglia del dolore e le ortesi di riposo. Le tecniche di linfodrenaggio e di compressione, i bagni alternati caldo/freddo e il ghiaccio sono indicati per la riduzione dell’edema e della tumefazione.

Gli splintstatici di sostegno alleviano il carico sulle articolazioni a scopo antalgico e preventivo per la retrazione dei muscoli intrinseci e dell’apparato tendineo, che predispongono alla rigidità. Risulta di grande supporto un tutore confortevole, usato al bisogno, confezionato su misura con materiale termoplastico perforato, che sostiene l’arto e lo protegge dagli urti.

Ad esempio, per la SA/CRPS-1 della mano, il fisioterapista dovrà confezionare un tutore in rest position. Si tratta di un tutore palmare di riposo dove l’articolazione del polso è posizionata a 20-30° di estensione e leggera deviazione, le articolazioni metacarpo-falangee a 40-60° di flessione e le articolazioni interfalangee in estensione, il I dito in opposizione e apertura della prima commissura.

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Figura 3 — Tutore statico di protezione.

Il trattamento dell’edema dev’essere precoce. Solitamente l’edema si presenta morbido, a cuscinetto sul dorso della mano con segno di Godet all’inizio, con tendenza a organizzarsi nelle fasi successive. Gli strumenti terapeutici possono essere vari, ma l’obiettivo è unico: contenere e ridurre tempestivamente il volume, drenare l’essudato e mobilizzare la linfa per evitare l’infarcimento delle articolazioni e la loro conseguente immobilità.

Il ghiaccio locale e i bagni caldo/freddo sono da indicare con cautela, date le alterazioni della sensibilità periferica e vasomotoria sopraindicate che caratterizzano questa malattia. Pertanto l’indicazione va limitata ai soli casi in cui il paziente, dopo una prova di applicazione, ne riferisca immediato beneficio.

Le posture in elevazione sono il primo passo per educare il paziente a un autotrattamento da effettuare al proprio domicilio: mantenere l’arto in scarico in posizioni adeguate oppure associato al movimento attivo. Se il paziente tollera un bendaggio compressivo, si consiglia di utilizzare bende elastiche (Coban) applicate secondo i criteri flebologici della compressione. Mentre le metodiche di linfodrenaggio linfatico più impiegate sono il metodo Vodder e il metodo Leduc.

Nelle fasi distrofiche, caratterizzate dalla progressiva perdita di funzionalità dell’arto colpito, associata a osteopenia od osteoporosi localizzata e a un grado variabile di allodinia e iperalgesia, gli obiettivi della riabilitazione, oltre che sulle istanze già citate, saranno concentrati sulla prevenzione della rigidità articolare e della retrazione muscolo-tendinea.

In questa fase, se ben tollerati, possono essere usati trattamenti come la paraffinoterapia, che sfrutta la cessione di calore per favorire la mobilità articolare. Essa può utilizzarsi prima dell’inizio della seduta riabilitativa, per facilitare la chinesi distrettuale.

Watson e Carlson descrivono buoni successi con la tecnica stress loading program, consistente nel richiedere al paziente una serie di esercizi di sollecitazione in carico sull’arto da trattare, da effettuarsi durante la giornata, con lo scopo di evocare l’inibizione sensitiva e di stimolare meccanismi del gate control agli impulsi dolorosi1.

I tutori di tipo statico progressivo trovano indicazione in questa fase per guadagnare gradi di mobilità articolare. L’utilizzo di tali ortesi è soltanto diurno, sotto un attento controllo del terapista e del paziente, che deve modularne l’uso in base alla tollerabilità.

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Figura 4 — Tutore statico progressivo per la flessione delle dita in rigidità.

Inoltre saranno inserite tecniche di supporto, tecniche di rilassamento, tecniche posturali e metodiche globali, che avranno l’obiettivo di ristabilire i corretti schemi motori e di far uscire il paziente dai comportamenti antalgici e ipomotori, di fargli migliorare la propriocezione e la cinestesi, e di rieducarlo a una corretta respirazione. Una delle metodiche da utilizzare è il metodo Feldenkrais, che, mediante il movimento e la presa di coscienza da parte del paziente dei propri schemi motori, si propone di ritrovare la coordinazione e la fluidità dei gesti. Utili anche le tecniche di Rieducazione Posturale Globale come la RPG, che hanno quale obiettivo il ripristino globale dell’equilibrio statico e dinamico del corpo, compromesso, in questa sindrome, dall’intervento di spontanei meccanismi di difesa messi in atto nei momenti del dolore. Da non trascurare, in tutte le fasi, ma in questa in particolar modo, le Terapie Mente-Corpo (TMC). Tra di esse, il Qi Gong è raccomandato dalle società scientifiche inglesi.

Purtroppo, la SA/CRPS-1 può evolvere sino all’atrofia della regione colpita. Questo è un evento tardivo a cui si assiste nei casi di ritardo diagnostico e terapeutico, oppure nei casi più gravi, in cui la risposta ai trattamenti è stata inefficace o parziale. Si assiste pertanto alla completa perdita di funzionalità, con marcata ipotrofia muscolare associata a retrazione delle capsule articolari e delle strutture tendinee e legamentose. Il dolore può non essere presente o assumere un andamento intermittente. Nei casi in cui esso sia presente, spesso è intenso e non responsivo — o solo parzialmente — alle cure farmacologiche. In questi casi trovano indicazione le strategie terapeutiche più invasive, come le opzioni chirurgiche o anestesiologiche.

La riabilitazione si focalizzerà perciò sul recupero del tono-trofismo muscolare, sull’escursione articolare e sulle abilità di coordinazione motoria. Un aspetto fondamentale è la correzione dei compensi muscoloscheletrici indotti dal disuso dell’arto colpito, per cui le tecniche riabilitative globali trovano ampio impiego.

Conclusioni

Le terapie descritte, sia medico-chirurgiche che riabilitative, sono soltanto un esempio di una possibile strategia terapeutica e riflettono la nostra esperienza nella gestione dei pazienti con SA/CRPS-1.

L’eterogeneità di tale condizione la rende una malattia “trasversale” a molti campi della medicina, interessando prevalentemente gli ambiti reumatologico, ortopedico, neurologico, algologico e riabilitativo. Questa trasversalità, mentre, da un lato, garantisce una visione la più ampia possibile, dall’altro rischia di essere affrontata con approcci non univoci o addirittura contrastanti, per cui risulta fondamentale una stretta collaborazione tra i vari specialisti, che dovrebbero lavorare in un team multidisciplinare, garantendo un protocollo terapeutico integrato e pianificato durante tutto il decorso di malattia.