Parte prima
4. Le terapie mente-corpo nella riabilitazione reumatologica

4.f Riabilitazione integrata: il metodo Rességuier

Indice dell'articolo

Relazione terapeutica-paziente

Questo metodo è nato all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso dall’analisi qualitativa di un insieme di situazioni incontrate di frequente nelle pratiche terapeutiche o educative. Il tempo dell’educazione o della cura è basato innanzitutto su una relazione; l’applicazione rigorosa di diverse tecniche non basta a rendere efficace la pratica. L’aggiustamento della relazione di prossimità tra i due protagonisti è pertanto una necessità.

La Riabilitazione integrata è l’applicazione del metodo Rességuier nel campo della sanità.

Uno dei fondamenti del metodo è, dunque, l’aggiustamento e la stabilizzazione della relazione terapeuta-paziente e l’applicazione delle tecniche curative appropriate adattata costantemente su tale base. La relazione all’altro e al mondo sarà vissuta “in prima persona”. È una strada della quale a volte facciamo esperienza ma in modo troppo aleatorio per constatare i suoi effetti su di noi, intorno a noi e nella qualità di ciò che facciamo.

Il modo “in prima persona” è un passaggio obbligatorio, un ritorno a sé che poi consente, da questo iniziale ancoraggio, l’incontro con gli altri e col mondo. Non abbiamo qui a che fare con un’attitudine solipsista, o con un ritirarsi dal mondo; al contrario, stiamo parlando di un contatto intimo che si viene a stabilire.

Ma come realizzare questa connessione con l’altro nella relazione, in modo tale che sia efficace e che ognuno dei due protagonisti “atterri” nell’attualità della relazione?

È considerando l’altro anche come un corpo fisico che si stabilisce la risonanza fisica: lui o lei è qui anche fisicamente. Ma come incontrare questa presenza fisica in modo che tale considerazione non venga raggiunta soltanto attraverso dei processi cognitivi?

A questo scopo, nei momenti di formazione degli operatori sanitari sulla qualità della relazione, ricorriamo a un’analogia: incontrare realmente questo corpo fisico “come se dovessimo sollevarlo”. Tale atteggiamento genera un sistema fisico unico nella relazione, come quando si sostiene un bambino, prendendosi con naturalezza molta cura di lui affinché non ce ne sfugga il corpo fisico.

Abbiamo constatato che questo tipo di relazione consentiva alla persona accompagnata di essere in uno stato di fiducia, di sicurezza molto stabile, appunto com’è per il bambino quando è tenuto in braccio in questo modo. Detto stato di tranquillità dà accesso a un nuovo posizionamento in rapporto ai fenomeni percepiti, come se la persona accompagnata divenisse testimone dei fenomeni sentiti senza esserne affetta, senza identificarsi con essi.

I fenomeni così percepiti costituiscono un vissuto immediato dinamico e pieno di senso.

Nell’ambito della reumatologia, e in particolare per quel che concerne le patologie croniche, il paziente tende, davanti alle sue difficoltà, a perdere la capacità di percepire ciò che accade nella situazione attuale. Se, per esempio, gli domandiamo come percepisce una gamba con un’alterazione funzionale, la risposta sarà spesso basata su dati abituali, fatti di ricordi piuttosto che di sensazioni attuali. Percepire da sé è diventato impossibile per lui.

Le diverse tecniche di riabilitazione e di cura, in genere, sono state elaborate senza una reale stabilizzazione della qualità della relazione e senza facilitare tale disidentificazione del paziente col proprio vissuto. Così, la piena partecipazione dell’organismo ai trattamenti rimane alquanto aleatoria. Grazie al metodo che abbiamo elaborato nel corso degli ultimi vent’anni, siamo ora in grado di approfondire e di stabilizzare la qualità di questa relazione. Ciò dischiude un campo di possibilità sinora non disponibile. Si può agire col completo assenso del paziente e in accordo con la sua dinamica vitale del momento.

Postura di accompagnamento e comfort di base

Lo strumento fondamentale della Riabilitazione integrata è ciò che chiamiamo la postura d’accompagnamento, realizzata, come base, mediante l’attivazione della risonanza fisica dell’empatia, cioè della capacità d’immedesimarsi appieno nello stato d’animo altrui, comprendendolo molto profondamente.

Un posizionamento preciso e sicuro viene chiaramente percepito dal paziente, ma anche dall’operatore sanitario. Una chiave d’accesso è il tono di tale posizionamento. Dovrà essere sempre immediatamente percettibile. Questo tono è trascritto immediatamente nella percezione di ciascuno dei protagonisti e fa eco ai livelli primari della nostra sensibilità, percezione a-modale che non passa dalle varie modalità sensoriali. È stata descritta bene da Daniel Stern nel campo della psicologia dello sviluppo. I fenomeni percepiti sono di una qualità a volte difficile da essere espressa a parole, tanto si mostrano in modo immediato. In tale posizionamene, sicuro e quieto, il paziente può vivere tutto ciò senza che i processi cognitivi alterino la dinamica dei processi attivati.

Questo posizionamento ci colloca, noi accompagnanti, in una situazione di testimoni attivi. Gli stimoli che inviamo tramite contatti specifici o movimenti richiesti al paziente sembrano essere realizzati con la complicità del suo organismo.

Grazie al suo posizionamento e allo stato di fiducia che viene così creato, l’operatore sanitario permette che sia rianimata per il paziente la dinamica dell’omeostasi. Il primo degli effetti sarà l’instaurarsi di uno stato che chiamiamo il comfort di base. La situazione decanta, i sintomi indotti scompaiono e lasciano apparire più chiaramente i sintomi primari, la diagnosi è facilitata. Il paziente percepisce un miglioramento immediato, non è più soffocato da ciò che vive, sia esso il dolore o qualsiasi altro tipo di difficoltà.

S’instaura lo stato di un convalescente: subentra l’impressione di un riordino e recupero delle proprie competenze. Il paziente si ritrova al centro di ciò che vive, le sue disposizioni di umore si chiariscono e si rappacificano. In questo passaggio delicato della sua vita, momento a rischio, fonte di dubbio e di confusione, egli è confermato nella sua esistenza, rassicurato nel suo intimo.

In tal modo il paziente può essere veramente presente a ogni avvenimento, partecipando in prima persona a tutte le tappe della cura. Attraverso la percezione ha un accesso naturale all’evoluzione del suo problema e fornisce informazioni preziose ai terapeuti. Riceve, infatti, informazioni precise e comprensibili dal suo corpo ed è capace di tradurle a livello della sua coscienza ordinaria.

Egli è, adesso, presente con tutto il suo mondo; un mondo alla sua portata, del quale egli è competente. Un mondo che ha il gusto della sua propria vita: l’insieme integrato delle esperienze che costituiscono il vivente nella sua storia, una continuità trasparente in costante elaborazione; e tutto ciò produce senso!

Tale continuità la possiamo constatare dall’osservazione dei ritmi circadiani fisiologici: sono poco o per nulla alterati dagli avvenimenti (Machado 20051). Questa forma di partecipazione alla cura potenzia il recupero in modo sorprendente, per la rapidità di ritorno a uno stato di benessere e per la qualità del recupero funzionale.

Grazie al tono del posizionamento, vivo e chiaro, è all’opera un processo di anticipazione che predispone l’organismo ad accogliere e rispondere in modo coerente agli avvenimenti, come constatiamo col ritmo delle contrazioni nella fase del travaglio del parto (De Albuquerque Vilela 20052; Caporaletti 20053) o ancora con gli stimoli dell’atto terapeutico, anche chirurgico.

Questa predisposizione smorza le grandi fonti di stress, che sono la paura e le inquietudini a priori. Il sentimento di esistere che ne deriva rianima in continuazione la dinamica del paziente nel suo vivere quotidiano.

L’operatore è capace di ricevere a ogni istante delle informazioni di ritorno dal paziente che orientano le modalità della sua pratica e gliene mostrano i limiti. Nel caso di una persona in coma, ad esempio, sono facilitati il riconoscimento e l’interpretazione dei segni comportamentali. È allora semplice ravvisare la stabilizzazione, o la mancata stabilizzazione, dei parametri vitali in funzione del tono nel quale il terapeuta si posiziona. Egli percepisce costantemente e grazie a un’eco immediata a quale punto è, o non è, il controllo della situazione. Ciò fa emergere in lui la percezione di essere efficace. I suoi gesti sono chiari e precisi, comprensibili per il soggetto e per tutto il suo organismo. La situazione è alla sua portata e il paziente lo percepisce nettamente: la sua fiducia ne è consolidata. Una forma di responsabilità nasce dal complesso di questa relazione con l’altro, una responsabilità “a monte”, una responsabilità etica: essere responsabile prim’ancora di ogni decisione (Lévinas 19974).

Grazie a tale posizionamento preciso del terapeuta, intuizione e creatività sembrano continuamente rinnovate: senza queste qualità, non potrebbero esservi pratiche terapeutiche individualizzate. Per tutti questi motivi, infine, il paziente è confermato non solo nelle sue funzioni, ma anche nella sua stessa vita.

Detto posizionamento nella relazione apre nuove prospettive per la ricerca nel campo della salute in generale. I processi osservati da questo punto di vista nuovo sono alquanto nuovi sul piano clinico. Osserviamo anche degli aspetti della fisiologia sinora mai notati e riproducibili.

Con questo posizionamento nella relazione col paziente le pratiche terapeutiche possono essere ridisposte: protocolli di cura, tipi di anestesia, tecniche chirurgiche, prescrizioni ecc., ma anche le modalità delle terapie fisiche e psicologiche.

Grazie a tale strumento concreto la medicina moderna può portare avanti una vera, fondamentale riflessione etica sulla relazione d’aiuto.

Infine, questo posizionamento nella relazione terapeutica apre nuovi territori esistenziali, fertili per l’elaborazione delle politiche di salute.

Piuttosto che come adattamento a un ambiente, il movimento del vivente appare come una co-emergenza del sistema e di ciò che lo circonda. L’idea di adattamento implica l’aggiustamento del vecchio atteggiamento grazie a dei dati attuali, è impronta d’inerzia. Ma l’azione vitale che si sviluppa è prevalentemente creatrice. Il sistema, quale che sia, non si aggiusta a un quadro ordinato preliminare, inventa le sue proprie regole di azione, la sua propria coerenza funzionale, il suo ordine vitale interno (Depraz 20055).

Se l’accompagnante — il tutore, quindi — resta fedele alle sue percezioni del momento e fa riferimento soltanto a esse, grazie a uno stato d’essere presente-attento-vigilante non ci sarà spazio per le rappresentazioni o per le proiezioni di un ordine passato. Il vissuto avrà il gusto del nuovo, del semplice e del familiare (Merleau-Ponty 19456). Il mondo che si rivela, allora, è un mondo immediatamente accessibile.

L’atto di “essere con” corrisponde in qualche modo a un fattore scatenante.

La dinamica che ne risulta assomiglia all’atto libero bergsoniano, e l’automa cosciente che noi siamo viene così messo fuori gioco. Il mondo che si rivela è emergenza totale, processo instabile e variabile, e non stato fisso (Depraz 20057). L’accompagnante regge il timone grazie ad aggiustamenti tonici costanti, il tono è dato, i sobbalzi dell’atto sono stabilizzati, l’omeodinamica è all’opera e l’atto terapeutico può essere realizzato nelle migliori condizioni. Cercare di adattarsi all’altro per incontrarlo o tessere dei legami per stabilire uno stato di fiducia è solo fatica sprecata.

In uno stato d’essere che ricorda l’epochè husserliana8, diventiamo dei veri testimoni attivi e curiosi in presa diretta col mondo, non quello che è il prodotto delle nostre rappresentazioni, ma quello che ci si offre immediatamente quando l’attenzione non è più minata dalle intenzioni a priori, un mondo pieno di estetica, portatore di senso.

Grazie a tale posizionamento, la relazione di prossimità operatore sanitario-paziente diventa un vero spazio umanizzante fertile, e ognuno dei protagonisti vi è confermato costantemente nella sua esistenza.

La nostra esperienza di applicazione pratica della Riabilitazione integrata negli ospedali in diversi Paesi e diverse culture ci mostra che questa attitudine nella relazione di prossimità può estendersi anche a un’intera istituzione e s’integra naturalmente nei percorsi delle scuole di formazione dei professionisti della salute.

Ogni operatore diviene, di fatto, un professionista della relazione.