Parte seconda
5. I reumatismi infiammatori

5.a L’artrite reumatoide

Indice dell'articolo

L’Artrite Reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce elettivamente le articolazioni diartrodali. La gravità e l’evolutività della flogosi sinoviale causano erosioni e distruzione dei capi ossei articolari, che determinano anchilosi e deformità articolari con conseguente grave disabilità funzionale e lavorativa.

Epidemiologia

L’AR è ubiquitaria, con prevalenza compresa tra lo 0.8 e il 2% della popolazione e incidenza di circa 6 nuovi casi per 10.000 adulti per anno. È più frequente nel sesso femminile che in quello maschile (rapporto di 4 a 1); nell’età avanzata, i due sessi ne sono colpiti in maniera analoga.

L’esordio avviene in prevalenza tra i 40 e i 60 anni, ma l’AR può esordire a qualsiasi età: la forma giovanile ha esordio antecedente ai 16 anni e la forma dell’anziano talora può cominciare anche dopo i 90 anni.

Eziopatogenesi

La causa dell’AR è sconosciuta. Attualmente si ritiene che la malattia inizi dall’interazione di fattori genetici e ambientali.

Il 50% del rischio di sviluppare AR è attribuibile a fattori genetici, anche se i fattori non genetici hanno un impatto predominante sull’espressione di malattia.

Più di 30 regioni genetiche del sistema HLA sono associate con l’AR. I portatori degli alleli HLA-DRB1 condividono un motivo comune, noto come l’epitopo comune, collegato a un aumento del rischio relativo di sviluppare AR di circa 4-5 volte.

Gli agenti infettivi sono stati sospettati a lungo come potenziali fattori scatenanti per l’AR. Il virus di Epstein-Barr, il parvovirus B19 e i retrovirus sono stati studiati, ma i dati che possano identificare un agente virale quale agente eziologico mancano.

Sebbene i fattori scatenanti dell’AR debbano ancora essere identificati, sono conosciute molte chemiochine e citochine proinfiammatorie che hanno un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia.

L’attivazione e l’infiltrazione di linfociti T e macrofagi nella membrana sinoviale porta alla produzione delle interleuchine -1, -2, -6, -8, -10, -17, di Tumor Necrosis Factor α (TNF-α), platelet-derived growth factor, insulin-like growth factor e transforming growth factor β. Tali molecole sono implicate nell’infiammazione e nella proliferazione della membrana sinoviale, nella distruzione cartilaginea e ossea e negli effetti sistemici della malattia. Soprattutto l’iperproduzione di TNF-α, dovuta alle interazioni tra linfociti T e B, ai sinoviociti simil-fibroblastici e simil-macrofagici, guida la flogosi sinoviale e la distruzione articolare.

I linfociti B infiltrano anche la membrana sinoviale e si differenziano in plasmacellule, che producono immunoglobuline policlonali e Fattore Reumatoide (FR).

Inoltre, i fibroblasti sinoviali sono attivati, rilasciano collagenasi e attivano l’espressione dei geni delle metalloproteinasi, che conducono alla distruzione dei tessuti della matrice cartilaginea e ossea. I risultati ultimi sono la formazione del panno sinoviale con l’invasione della cartilagine articolare, le erosioni periarticolari e l’osteoporosi, la tumefazione delle articolazioni, la distruzione delle strutture periarticolari.

Gli anticorpi diretti contro i Peptidi Citrullinati Ciclici (anti-CCP) sembrano essere implicati nella patogenesi dell’AR e legati a modificazioni post-traduzionali negli alleli HLA-DRB1, portatori dell’epitopo comune. Si suppone che gli antigeni subiscano le modificazioni post-traduzionali dell’aminoacido arginina in citrullina. Ciò permette la formazione degli anti-CCP.

Il fattore ambientale meglio studiato per l’AR, cioè il fumo, sembra essere un fattore di rischio per la malattia CCP-positiva, in particolare nel contesto della positività per gli alleli con l’epitopo HLA-DRB1 condiviso.

Istopatologia

Le principali alterazioni dell’AR sono a livello delle articolazioni diartrodali. Il danno è aggravato dalla contemporanea compromissione delle strutture periarticolari, in particolare dei tendini e delle borse tendinee.

A livello articolare, la peculiarità istopatologica dell’AR, causa dei gravi fenomeni distruttivi, è il panno sinoviale, dovuto alle alterazioni flogistiche e proliferative delle cellule della membrana sinoviale e delle cellule ematiche immunocompetenti che si accumulano a tale livello.

Il panno sinoviale invade e distrugge la cartilagine articolare e l’osso epifisario. Le erosioni ossee si localizzano preferenzialmente nelle zone in cui l’osso non è rivestito di cartilagine (polo vascolare). L’esito finale della compromissione articolare può essere l’anchilosi fibrosa.

Nei casi più gravi, oltre alle strutture articolari e periarticolari, la malattia ha un coinvolgimento extrarticolare dovuto principalmente alla vasculite, prevalente nelle arterie di piccolo calibro, alla formazione del nodulo reumatoide (formato da 3 aree concentriche: una zona centrale di necrosi fibrinoide, una zona intermedia formata da strati di cellule allungate disposte “a palizzata” e una zona periferica rappresentata da un tessuto di granulazione) e, più di rado, alla presenza di amiloide.

Quadro clinico

L’AR è caratterizzata da un’estrema variabilità delle manifestazioni cliniche, delle modalità di esordio e di decorso, delle alterazioni dei parametri sierici e radiografici, tanto da rendere spesso difficoltosa la sua identificazione, che ancor oggi è, soprattutto nelle sue prime fasi, basata sull’intuito e sull’esperienza dello specialista. D’altro canto, con la scoperta di farmaci tanto più efficaci quanto più precocemente utilizzati, è indispensabile effettuare una diagnosi nella fase iniziale della malattia, prima che si manifestino le gravi lesioni articolari irreversibili.

Esordio della malattia

L’esordio può essere acuto o graduale. In questo caso insorgono dolore e rigidità mattutina in varie articolazioni e progressivamente si sviluppano vere artriti.

Frequentemente già all’esordio il quadro è di una poliartrite cronica, che interessa le piccole articolazioni delle mani e dei polsi, spesso colpite rapidamente e simmetricamente.

In circa un terzo dei casi l’AR esordisce come una mono-oligoartrite, con interessamento di una o poche articolazioni, specialmente ginocchio, caviglia, polso o piccole articolazioni della mano.

Talora l’impegno articolare è preceduto da una sindrome del tunnel carpale bilaterale, dovuta a tenosinovite dei tendini flessori delle dita, che, a livello del carpo, comprimono il nervo mediano.

Nell’anziano l’esordio è di frequente simile alla polimialgia reumatica, con dolore alle spalle e sovente anche alle articolazioni coxofemorali e successivo interessamento delle piccole articolazioni.

L’esordio palindromico, più raro, è caratterizzato da episodi di artrite fugace ad articolazioni diverse, che regrediscono spontaneamente in pochi giorni e si presentano a intervalli variabili anche per mesi o anni, prima di sfociare nell’AR.

L’AR può esordire pure con mialgie, più o meno diffuse, talora intense, che precedono di alcuni mesi l’insorgenza dell’artrite con un quadro simile a quello della sindrome fibromialgica.

Manifestazioni articolari

Nella maggior parte dei casi l’AR è una poliartrite in cui potenzialmente tutte le articolazioni diartrodali sono colpite. In genere ha un andamento centripeto: l’artrite si manifesta dapprima alle piccole articolazioni delle dita delle mani, Interfalangee Prossimali (IFP) e Metacarpofalangee (MCF) e dei polsi, e alle Metatarsofalangee (MTF) e IFP delle dita dei piedi, e quindi alle articolazioni più prossimali. Anche le articolazioni Temporo-Mandibolari (TM) e cricoaritenoidee vengono talora colpite.

L’AR ha tipicamente una distribuzione simmetrica e un carattere aggiuntivo, con l’interessamento di nuove articolazioni senza la regressione nelle sedi precedentemente colpite.

Il sintomo articolare preminente è il dolore spontaneo, a cronologia infiammatoria, con insorgenza e maggiore intensità a riposo, con dolorabilità articolare alla pressione e al movimento.

Si associa rigidità articolare, più pronunciata dopo una lunga inattività, in particolare al mattino (morning stiffness), generalmente di lunga durata. Sono presenti tutte le altre caratteristiche dell’infiammazione, tra cui calore e rossore della cute soprastante l’articolazione; di maggior importanza è la tumefazione articolare, dovuta a sinovite e versamento articolare. L’aumento di pressione intrarticolare può spingere il contenuto articolare attraverso aree di minor resistenza capsulare, dando origine alle cisti sinoviali.

Spesso la flogosi si estende alle strutture para-articolari, in particolare ai tendini e alle borse. La limitazione funzionale è dovuta, nelle prime fasi di malattia, alla contrattura muscolare antalgica causata dalla compromissione articolare; in seguito è causata dalle lesioni articolari e para-articolari, oltre che dall’ipotrofia muscolare.

Mani e polsi. Sono colpiti frequentemente e gravemente. A livello delle dita, sono interessate le IFP e le MCF, mentre le articolazioni Interfalangee Distali (IFD) sono colpite raramente. A causa dell’invasività del panno sinoviale, sono compromesse tutte le articolazioni comunicanti; a livello del polso, vengono lese le articolazioni intercarpiche, la radio-carpica, la radio-ulnare, le carpo-metacarpali e le intermetacarpali. Il polso risulta, perciò, spesso tumefatto, così come le articolazioni MCF e le IFP.

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Figura 1 — Sinovite del posto.

In queste ultime sedi la flogosi provoca la tipica tumefazione fusata del dito. L’impegno tenosinovitico aggrava il quadro sintomatico e compromette maggiormente la funzionalità articolare. Un altro segno caratteristico dell’AR è l’atrofia dei muscoli interossei.

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Figura 2 — Sinovite del polso e atrofia muscoli interossei.

La deviazione radiale del carpo e lo scivolamento ulnare del carpo sono le più frequenti deformità del polso. La distruzione da parte del panno delle strutture di contenzione del versante ulnare del carpo (soprattutto del legamento triangolare) porta allo scivolamento palmare del tendine del muscolo estensore ulnare del carpo, che diviene flessore, e alla lussazione dorsale della testa ulnare, caput ulnae, responsabile del segno del cosiddetto “tasto di pianoforte”. Più di rado si osserva la deformazione opposta, cioè la deviazione ulnare del carpo, dovuta soprattutto a distruzioni imponenti del compartimento interno. La flogosi articolare del carpo, in particolare quella a livello dell’articolazione tra scafoide e semilunare, provoca la distruzione del legamento scafo-semilunare, con conseguente instabilità del carpo.

La deviazione ulnare delle dita (o “a colpo di vento”) è provocata dalla tumefazione dorsale delle MCF (Fig. 3) che determina la lussazione volare delle falangi prossimali sulle teste metacarpali, con stiramento del tendine estensore e suo scivolamento laterale (Fig. 4).

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Figura 3 — Artrite delle MCF con sublussazione dorsale delle teste metacarpali.

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Figura 4 — Artrite delle MCF con iniziale deviazione delle dita a “colpo di vento”.

In tal modo i muscoli estensori divengono flessori e adduttori delle dita. La deformazione “en boutonnière” (o “ad asola”) è caratterizzata dall’estensione della MCF, dalla flessione con rigidità dell’IFP (che protrude attraverso la lacerazione del tendine estensore del dito) e dall’iperestensione delle IFD, mentre la deformità “a collo di cigno” consiste nella flessione della MCF, con iperestensione della IFP e flessione della IFD.

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Figura 5 — Deformità “a collo di cigno”.

La deformità delledita “a martello” è costituita dalla flessione isolata della IFD. È dovuta alla rottura del tendine dell’estensore lungo delle dita in prossimità della sua inserzione distale e alla conseguente retrazione dei tendini palmari. Il pollice “a zeta” consiste nella flessione della MCF con l’iperestensione della Interfalangea (IF). La sinovite della MCF determina distruzione dell’estensore breve e lussazione ulnare e volare dell’estensore lungo; in questo modo l’articolazione MCF subisce una progressiva sublussazione anteriore e l’IF assume un atteggiamento d’iperestensione. Il pollice addotto è determinato dalla lussazione dell’articolazione trapezio-metacarpale e dall’adduzione del primo metacarpo.

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Figura 6 — Deformità del “pollice addotto”.

Tale adduzione s’instaura per la retrazione del muscolo adduttore del pollice. Lo squilibrio secondario dei muscoli estrinseci può determinare un’iperestensione della MCF. Può conseguire anche la flessione dell’IF (“pollice a zeta invertito”).

Gomiti. Sono coinvolti di frequente. L’interessamento dell’articolazione omero-ulnare causa limitazione dolorosa dell’estensione e lieve tumefazione tra epicondilo e olecrano. La compromissione dell’articolazione radio-omerale riduce la prono-supinazione dell’avambraccio. Non è rara la borsite olecranica.

Spalle. Sono interessate spesso. Il versamento, quando presente, si estrinseca anteriormente. Più comuni sono il dolore e la limitazione funzionale. Relativamente frequenti anche le lesioni, fino alla rottura completa, della cuffia dei rotatori. Per visualizzare la presenza di lesioni e versamenti articolari e periarticolari non evidenziabili con l’esame obiettivo, è particolarmente utile l’ecografia.

Caviglie e piedi. L’interessamento flogisticopuò essere uniforme o limitato a singole articolazioni. L’articolazione tibio-tarsica viene coinvolta più di rado delle articolazioni del piede.

La tumefazione del collo del piede, specie a livello del malleolo esterno, è dovuta infatti all’interessamento dell’articolazione sottoastragalica, che si manifesta con dolore alla volta plantare, accentuato nei movimenti di torsione del piede e con impossibilità a camminare su terreni sconnessi. Il coinvolgimento delle articolazioni sottoastragaliche può portare alla deformità in valgodel retropiede.

Possono essere interessate anche altre articolazioni del tarso (tra astragalo e scafoide, tra calcagno e cuboide e tra scafoide e cuneiformi), con conseguenti collasso dell’arco longitudinale e piede piatto.

Spesso si associa un impegno tenosinovitico, non sempre facilmente discriminabile, che aggrava il quadro sintomatico e compromette maggiormente la funzionalità articolare.

Le articolazioni dell’avampiede, in particolare le MTF, sono le più frequentemente colpite dall’AR. All’inizio l’impegno dell’avampiede si manifesta con metatarsalgia e poi subentra una franca artrite delle articolazioni MTF. L’impegno di tali articolazioni porta al crollo dell’arcata plantare trasversa, per cui il piede appoggia in terra con tutte le teste metatarsali, con ipercheratosi delle teste metatarsali centrali. Successivamente, l’impegno delle MTF provoca sublussazione metatarsale plantare con iperestensione delle MTF e flessione delle IF (dita “a martello”) dovuta anche al coinvolgimento dei muscoli intrinseci, che funzionano non da flessori delle MTF, ma da estensori, essendo i loro tendini migrati dorsalmente. Il cuscinetto fibroadiposo sotto le teste metatarsali scivola in avanti e le teste metatarsali restano prive della sua protezione nel contatto col suolo. Il dolore durante la deambulazione è ancora più intenso.

L’instabilità delle MTF, col conseguente scivolamento laterale dei tendini dei flessori ed estensori, provoca il valgismo dell’alluce ela lussazione fibulare delle dita. Quando la V MTF non devia, tali alterazioni conferiscono il tipico aspetto triangolare all’avampiede reumatoide.

Articolazioni coxofemorali. Sono colpite nel 25-30% dei casi di AR, spesso bilateralmente e in fase tardiva. Il loro interessamento è potenzialmente invalidante. Il tipico dolore d’anca è localizzato in sede inguinale, s’irradia alla faccia anteriore della coscia fino al ginocchio e posteriormente interessa i glutei. Il dolore, già presente a riposo, è intenso nella posizione eretta e durante la deambulazione. La compromissione iniziale riduce l’escursione articolare soprattutto a carico della rotazione interna e dell’abduzione. Può concomitare una borsite trocanterica. In stadio avanzato, i fenomeni distruttivi sinoviali possono causare la protrusione dell’acetabolo.

In caso di dolore persistente, con quadro radiologico normale, è necessario valutare, tramite Risonanza Magnetica (RM), l’eventualità di un’osteonecrosi asettica della testa femorale, spesso dovuta alla terapia steroidea.

Ginocchia. L’interessamento delle ginocchia è frequente e precoce ed è caratterizzato da versamento, talora abbondante. Può causare instabilità e deformità articolare in valgo o in varo, sia determinando l’atrofia del quadricipite che compromettendo l’apparato capsulolegamentoso. Concomita contrattura in flessione che, se mantenuta a lungo (ad esempio, per l’utilizzo di un cuscino sotto il cavo popliteo durante la posizione supina), può causare lussazione posteriore della tibia per la prevalente azione dei muscoli ischio-crurali e quindi anchilosi in flessione.

Non è rara anche la possibilità che si formi una tumefazione a livello popliteo (“cisti di Baker”) per l’aumento di pressione intrarticolare, che, durante il movimento, può fare erniare la membrana sinoviale. Le cisti possono causare limitazione del movimento di flesso-estensione del ginocchio, comprimere vasi venosi con conseguente edema da stasi agli arti inferiori, infiltrarsi tra i muscoli del polpaccio, dove possono rompersi provocando dolore e tumefazione, simulando una tromboflebite.

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Figura 7 — Tumefazione del polpaccio dovuta a rottura di una cisti di Baker.

Le cisti di Baker sono facilmente diagnosticabili con l’esame ecografico.

Rachide. Il rachide non viene quasi mai colpito dall’AR. Nel 30% dei casi fanno eccezione le prime articolazioni della colonna cervicale e, in particolare, le diartrosi tra l’atlante e il dente dell’epistrofeo: l’articolazione della parte posteriore dell’arco dell’atlante con la faccia articolare anteriore del dente dell’epistrofeo, l’articolazione della faccia articolare posteriore del dente con il legamento trasverso dell’atlante e le articolazioni interapofisarie. La sinovite a tali livelli è causa di usura dei tessuti articolari (ossa e parti molli) che determina nel tempo la comparsa di lassità legamentose, fino alla rottura del legamento trasverso, e di erosioni con conseguenti dislocazioni ossee. In questa sede, per la loro particolare gravità, vanno ricercate con radiografie, TC e RM:

- sublussazione anteriore dell’atlante: è l’alterazione più frequente, visibile con una radiografia in proiezione laterale della colonna cervicale in massima flessione, che evidenzia una distanza di oltre 3 mm tra il processo odontoide e l’arco anteriore dell’atlante. Può determinare una mielopatia cervicale da compressione;
- risalita del dente: è una delle situazioni più temibili in quanto il dente s’impegna nel forame occipitale e comprime il bulbo;
- erosioni del dente: causano instabilità articolare, sino alla frattura del dente;
- lesioni a carico delle altre articolazioni sinoviali del tratto cervicale superiore: possono provocare slittamento delle vertebre e compressione midollare, con comparsa di sintomatologia neurologica anche grave.

I pazienti con compromissione del rachide cervicale da AR possono presentare dolore e rigidità nei movimenti del collo, cefalea nucale, nevralgia occipitale ed episodi di disfunzione del midollo. I sintomi d’allarme della mielopatia cervicale sono i disturbi della sensibilità, la debolezza muscolare degli arti superiori e inferiori, la perdita di controllo degli sfinteri, i crampi muscolari.

A livello del rachide dorsale e lombare si può riscontrare una sinovite a livello delle articolazioni diartrodali tra le faccette articolari posteriori, in genere concomitante a discoartrosi allo stesso livello. Inoltre non è raro il cedimento del soma vertebrale come conseguenza dell’osteoporosi secondaria all’AR e della terapia con corticosteroidi.

In circa il 55% dei pazienti sono colpite anche le articolazioni temporo-mandibolari,con comparsa di dolore locale e difficoltà all’apertura orale e alla masticazione.

In presenza di ricorrenti episodi di disfonia, di dispnea, di stridore laringeo o di improvvisi abbassamenti di voce può esservi, sebbene raro, il coinvolgimento delle articolazioni laringee, in particolare quelle cricoaritenoidee.

Ancora più rara è un’ipoacusia da interessamento sinovitico delle articolazioni tra gli ossicini dell’orecchio medio.

Manifestazioni extrarticolari

Sono presenti soprattutto in pazienti con AR sieropositive al FR e possono creare un notevole polimorfismo clinico.

Cute
- Noduli sottocutanei. Presenti nel 20-40% dei soggetti con AR, sono duri, non dolenti, mobili. Sono presenti nelle zone sottoposte a microtraumi e pressione, soprattutto sul lato ulnare dell’avambraccio, in prossimità dei gomiti, sulle tuberosità ischiatiche, sulle dita e sul dorso delle mani.

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Figura 8 — Presenza di numerosi noduli cutanei sulle dita delle mani.

La consistenza duro-elastica e la mancata scomparsa con la pressione li differenziano dalle cisti sinoviali.
- Vasculiti cutanee. Sono le manifestazioni più frequenti della vasculite reumatoide. La forma più comune è la vasculite delle arterie digitali che si manifesta col fenomeno di Raynaud o con microinfarti periungueali. Possono causare ulcere alle gambe con necrosi cutanea.

A causa della terapia con steroidi, inoltre, la cute dei soggetti con AR è spesso sottile, fragile, atrofica e ricca di ecchimosi.

Sistema nervoso periferico
- Sindromi da intrappolamento. Sono dovute alla compressione che le strutture articolari e tendinee esercitano sui nervi nei punti in cui essi sono contenuti in strutture inestensibili. Frequente è la sindrome del tunnel carpale, derivante dall’intrappolamento del nervo mediano a livello del canale del carpo. Causa parestesie con o senza dolore nel territorio d’innervazione del nervo mediano (prime tre dita e metà del quarto), soprattutto notturne, ingravescenti, e successivamente compaiono perdita del tatto, diminuzione della forza di presa e atrofia dell’eminenza tenar. Può essere presente sin dalle prime fasi della malattia, spesso bilateralmente.
- Neuropatia sensitiva distale. Quadro scarsamente evolutivo, dovuto a vasculite dei vasa nervorum e caratterizzato da parestesie, soprattutto agli arti inferiori.
- Mononeurite multipla. È sostenuta da una vasculite necrotizzante. Alle parestesie segue un deficit motorio di uno o più nervi periferici, con paresi improvvise.

Sistema nervoso centrale. Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale è raro e può essere dovuto a lesioni determinate da noduli reumatoidi o a vasculite reumatoide, oltre che alla compressione di strutture nervose a causa dell’interessamento atlo-epistrofeo. Tuttavia, nonostante la relativa frequenza di quest’ultimo, è raro che si manifestino i segni della mielopatia cervicale per la notevole ampiezza dello speco vertebrale a tale livello e per la lenta progressività delle lesioni.
Disturbi dell’umore come depressione, irritabilità, ansia sono abbastanza frequenti.

Sistema cardiocircolatorio
- Pericardio. La pericardite sintomatica è rara, ma con l’ecocardiografia un versamento di piccole dimensioni o un ispessimento dei foglietti pericardici è dimostrabile nel 30-50% dei casi.
- Endocardio. Di rado noduli reumatoidi possono localizzarsi a livello endocardico e determinare alterazioni valvolari.
- Miocardio. Un interessamento miocardico può essere secondario alla presenza di noduli, di vasculite oppure a deposizione di sostanza amiloide nel contesto del muscolo cardiaco. Spesso è asintomatico, solo sporadicamente la miocardiopatia può causare scompenso cardiaco. L’elettrocardiogramma può rilevare anomalie del ritmo, dovute a lesioni reumatoidi miocardiche a livello del sistema di conduzione.

Nei pazienti con AR sono state osservate pure un’accelerazione dell’aterosclerosi e una maggior frequenza di cardiopatia ischemica, dovuta alla flogosi e alle terapie che, pur contrastando il processo flogistico e quindi abbassando il rischio di aterosclerosi, hanno ripercussioni sul metabolismo glico-lipidico e dell’omocisteina, che possono favorire le lesioni endoteliali.

Sistema respiratorio. L’interessamento pleuropolmonare è uno dei più frequenti.
- Pleurite. Malgrado sia rara a livello clinico, gli studi autoptici ne documentano una frequenza attorno al 50%.
- Polmoni. La fibrosi interstiziale diffusa è piuttosto frequente, anche se segni clinici conclamati compaiono solo nel 14% dei casi. L’ispessimento interstiziale inizia alle basi polmonari e può arrivare fino all’aspetto radiografico cosiddetto “a nido d’ape”.
- Pneumopatia nodulare. È causata da noduli di dimensione varia (da alcuni mm a qualche cm) nel parenchima polmonare. In genere sono asintomatici e si riscontrano casualmente nelle radiografie del torace.
- Sindrome di Caplan. Consiste nella presenza di nodulosi polmonare multipla in pazienti con AR positiva al FR e sottoposti a inalazione di carbone, silice, asbesto, granito, gesso, fibre tessili. I noduli sono più grandi di quelli reumatoidi, probabilmente per iperreattività dei soggetti con AR all’inalazione di polveri.

Rara è l’arterite polmonare, la quale, come la fibrosi polmonare, può causare ipertensione polmonare.

Infine, varie complicanze polmonari (fibrosi, polmonite interstiziale acuta) possono essere causate da farmaci usati nella terapia dell’AR (come il Methotrexate, MTX).

Apparato gastrointestinale. Si tratta in genere di manifestazioni iatrogene. I FANS(Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei) possono causare esofagite da reflusso, gastrite erosiva e ulcera peptica. Il MTX può causare enterite acuta ed epatopatia.
- Xerostomia. Dovuta alla compromissione delle ghiandole salivari tipica della sindrome di Sjögren, è spesso associata all’AR.

Occhi
- Xeroftalmia e cheratocongiuntivite secca. Sono le manifestazioni più frequenti, dovute al coinvolgimento delle ghiandole salivari tipico della sindrome di Sjögren.
- Episclerite. È l’infiammazione superficiale della sclera, che provoca dolorabilità dell’occhio e si risolve con terapia steroidea topica.
- Sclerite. Infiammazione profonda della sclera, dovuta a vasculite, che può causare la perdita della vista, è caratterizzata da rossore all’occhio, intenso dolore, lacrimazione, fotofobia e deficit del visus. Colpisce entrambi gli occhi nel 70% dei casi; la sclerite anteriore è la più comune, è aggressiva, può portare a necrosi e ad assottigliamento sclerale. Nei casi più gravi, si può giungere alla perforazione della sclera (scleromalacia perforans). Talvolta la cheratite, che comporta offuscamento visivo, arrossamento e dolore, può associarsi alla vasculite.

Apparato urinario
- Rene. Frequente è il coinvolgimento di origine iatrogena (ciclosporina, FANS e sali d’oro). Di rado il rene è colpito da vasculite e amiloidosi. La microalbuminuria è il rilievo più comune.
- Sistema linfopoietico.

  1. Linfoadenomegalia. Non è infrequente a carico di stazioni linfonodali drenanti le articolazioni colpite dal processo flogistico, in genere ascellari o inguinali, in cui i linfonodi sono palpabili, poco o non dolenti e mobili.
  2. Adenosplenomegalia. È rilevante nel morbo di Still e nella sindrome di Felty.
    - Sintomi sistemici. Astenia, malessere, febbre, anoressia e dimagrimento, intensi particolarmente nelle fasi acute della malattia, sono dovuti alle citochine proflogogene.

Varianti cliniche

- Sindrome di Felty. AR sieropositiva con FR ad alto titolo (frequente è il reperto di noduli reumatoidi sottocutanei), splenomegalia e leucopenia (granulocitopenia).

- Morbo di Still dell’adulto. Raro, simile alla forma giovanile, caratterizzato da puntate di febbre elevata, con rash cutaneo evanescente e poliartrite.

- AR a esordio senile. Inizia a un’età superiore ai 60 anni e ha la stessa distribuzione nei due sessi. Insorge sovente in modo acuto e simile alla polimialgia reumatica, coinvolgendo per prime le grandi articolazioni, in particolare le spalle. Nell’AR senile è più frequente la compromissione delle condizioni generali (astenia, anoressia, dimagrimento), i valori dei parametri di flogosi (VES e PCR) sono più elevati, il FR è meno spesso positivo.

- AR aggressiva. Presenta fattori predittivi negativi, quali sesso femminile, alto numero di articolazioni tumefatte, erosioni precoci, positività ad alto titolo del FR, valori persistentemente elevati di VES e PCR, positività dell’HLA-DRB1 e degli anticorpi anti-peptide citrullinato (anti-CCP). I pazienti con AR aggressiva difficilmente rispondono ai trattamenti di fondo in monoterapia e/o agli steroidi, continuano ad avere un alto numero di articolazioni tumefatte, presentano nuove erosioni ossee e spesso complicanze extrarticolari.

Esami bioumorali

Il dosaggio dei parametri di flogosi è di basilare importanza nella diagnosi e soprattutto nel monitoraggio dell’attività di malattia e dell’efficacia della terapia instaurata. Gli indici bioumorali dosati più comunemente sono la VES, la Proteina C Reattiva (PCR), le a2-globuline e l’a1-glicoproteina acida. Questi indici aumentano nelle fasi di attività della malattia e si riducono, fino a normalizzarsi, nelle fasi di remissione spontanea o indotta dalla terapia. La PCR è la molecola che più fedelmente e precocemente segue l’andamento clinico dell’artrite; inoltre dà utili indicazioni sull’estensione del processo flogistico, correlato all’entità dell’innalzamento dei suoi livelli sierici.

Il Fattore Reumatoide (FR) è un’immunoglobulina M con attività autoanticorpale diretta verso determinanti antigenici del frammento Fc delle IgG, spesso — a torto — identificato come il marker dell’AR. In realtà, la presenza del FR in corso di AR non è né altamente sensibile né specifica, ritrovandosi in molte altre malattie, come nelle connettiviti, nelle malattie infettive, nelle infiammazioni croniche polmonari ed epatiche, nelle neoplasie, nelle crioglobulinemie, e anche in soggetti sani, soprattutto se anziani. La presenza e l’assenza del FR dividono la malattia in AR sieropositiva (70-75% dei casi) e AR sieronegativa. Il FR può avere importanza prognostica quando, persistendo ad alti titoli, aiuta a differenziare, insieme ad altri parametri sierici e clinici, la variante aggressiva, mentre ha scarso valore predittivo per la diagnosi e non ha utilità nel follow up della malattia.

Oltre al FR IgM esistono FR di tipo IgG e IgA, spesso presenti nelle AR sieronegative, ma dosabili soltanto con metodiche ELISA (Enzyme Linked Immuno Sorbent Assay) e RIA (Radioimmunoassay). Il test effettuato comunemente nei laboratori è il latextest (o RA-test), che utilizza particelle di lattice di polistirene rivestite di IgG umane.

Gli anticorpi anti-peptide citrullinato (anti-CCP) hanno dimostrato un’alta specificità (96-98%) per l’AR. Sono presenti nel siero dei pazienti affetti da AR sin dalle prime fasi di malattia e hanno valore predittivo per l’erosività ossea.

Il 25-50% dei pazienti con AR presenta una moderata anemia “da malattie croniche” (sideropenia, transferrina ridotta, ferritina normale o aumentata). Può intervenire anche un’anemia sideropenica (in genere da sanguinamento gastrointestinale causato dai FANS).

Alcuni pazienti con AR hanno leucocitosi (spesso causata dall’uso degli steroidi), mentre la presenza di leucopenia e/o piastrinopenia può essere causata dal trattamento con immunosoppressori. È possibile osservare una piastrinosi correlata alle fasi di attività della malattia.

Un elevato numero di pazienti presenta ipergammaglobulinemia.

esame del liquido sinoviale

Nei pazienti con AR, il liquido sinoviale è torbido, fluido (per la depolimerizzazione dell’acido ialuronico), il coagulo mucinico è friabile e, se lasciato in provetta, per la maggiore concentrazione delle proteine e dei fattori della coagulazione, può coagulare. La concentrazione di glucosio è ridotta. Il numero di globuli bianchi è moderatamente aumentato (5-50.000 cellule/mm3) e, a fresco, è possibile visualizzare cellule con inclusioni citoplasmatiche periferiche rotondeggianti, i cosiddetti ragociti.

Esami strumentali

Tra gli esami strumentali d’immagine, la radiologia convenzionale, che consente d’indagare tutte le articolazioni interessate dall’AR, resta la tecnica più idonea a confermare la diagnosi di AR e a monitorare le lesioni nel tempo. Nelle fasi precoci può risultare o del tutto negativa o individuare la tumefazione delle parti molli periarticolari e l’osteoporosi iuxtarticolare, che può assumere specificità se compare simmetricamente alle piccole articolazioni delle mani e dei piedi; in una fase successiva rileva la riduzione dell’interlinea articolare e le erosioni articolari. La riduzione dell’interlinea articolare è dovuta alla riduzione di spessore della cartilagine articolare; è una riduzione uniforme e non limitata alle zone di carico come nell’artrosi. Le erosioni sono le alterazioni radiologiche più specifiche dell’AR (il 75% dei pazienti le sviluppa entro i primi due anni dall’esordio). Compaiono dapprima in sede marginale, a livello delle zone di osso non ricoperte di cartilagine, comprese tra l’inserzione capsulare e la cartilagine articolare, dove assumono l’aspetto caratteristico “a colpo d’unghia”, e in seguito si estendono a tutta l’epifisi ossea.

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Figura 9 — Rx: osteoporosi iuxtarticolare: riduzione della rima articolare e erosioni “baciate” marginali a livello della II MCF.

Nello stadio avanzato, l’esame radiografico può visualizzare la scomparsa delle rime articolari, l’anchilosiarticolare (tipica quella a livello delle ossa del carpo), numerose e grossolane erosioni con formazione di geodi (aree osteolitiche non circondate da orletto, sempre in comunicazione con l’articolazione) e le tipiche sublussazioni e lussazioni articolari.

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Figura 10 — Rx: gravi erosioni al carpo e alle articolazioni IFP in corso di AR.

L’ecografia è una tecnica sempre più utilizzata che consente d’indagare non solo le lesioni flogistiche dei tessuti molli periarticolari, come tendini, legamenti, muscoli, nervi periferici e tessuto sottocutaneo, ma anche quelle articolari a carico della sinovia, della capsula, della cartilagine e della corticale ossea. Nel paziente con AR essa permette, infatti, di esaminare il panno sinoviale, la sede e l’entità dei versamenti e la presenza di erosioni ossee non ancora visibili all’esame radiografico standard.

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Figura 11 — Panno sinoviale e versamento articolare in ecografia coxofemorale.
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Figura 12 — Erosione di una testa metacarpale visibile in ecografia.

Lo studio ecografico con metodica power-doppler fornisce informazioni sulla vascolarizzazione del panno sinoviale e sulla sua attività flogistica. Altri vantaggi dell’ecografia sono i costi contenuti, la rapidità dell’esame e l’assenza di radiazioni, oltre alla non-invasività, contrariamente all’artroscopia, la cui utilità è legata alla possibilità di eseguire una biopsia mirata, che, tuttavia, difficilmente consente una diagnosi certa di AR.

Altri esami, come la tomografia computerizzata e la RM, hanno, a causa dei costi elevati, un utilizzo limitato allo studio di situazioni particolari, quali la compromissione midollare conseguente alla patologia cervicale. A livello delle articolazioni delle mani e dei polsi, la RM contrastata con il gadolinio identifica con grande accuratezza la flogosi sinoviale, l’edema dell’osso subcondrale e le iniziali erosioni, risultando, in casi selezionati, d’insostituibile utilità nella diagnosi precoce di AR.

Diagnosi

La diagnosi di AR è soprattutto clinica. Quando la malattia è conclamata e la sintomatologia clinica è evidente, la diagnosi risulta notevolmente semplice, anche per la positività delle indagini bioumorali e d’immagine. Per scopi di ricerca possono risultare utili i nuovi criteri classificativi elaborati dall’American Rheumatism Association nel 2010, che sostituiscono quelli del 1988.

A. Coinvolgimento articolare

1 grande articolazione 0
2-10 grandi articolazioni 1
1-3 piccole articolazioni (con o senza coinvolgimento di grandi articolazioni) 2
4-10 piccole articolazioni (con o senza coinvolgimento di grandi articolazioni) 3
> 10 articolazioni (almeno 1 piccola articolazione) 5

B. Sierologia (è necessario almeno 1 test)

FR negativo e anti-CCP negativi 0
FR a basso titolo o anti-CCP a basso titolo 2
FR ad alto titolo o anti-CCP ad alto titolo 3

C. Reattanti di fase acuta (è necessario almeno 1 test)

PCR normale e VES normale 0
PCR elevata o VES elevata 1

D. Durata dei sintomi

< 6 settimane 0
> 6 settimane 1

Tabella 1 — Criteri classificativi per AR (algoritmo a punteggio: sommare lo score delle categorie A-D); per classificare un paziente come “AR definita”, è necessario un punteggio totale > 6.

Difficile può essere la diagnosi nelle fasi iniziali, quando le manifestazioni dell’AR sono ancora aspecifiche e possono mimare quelle presenti in altre artriti.

1. Presenza di tumefazione di 3 o più articolazioni.
2. Interessamento delle MTF/MCF con test della compressione positivo (segno della gronda o squeeze test).
3. Rigidità mattutina > 30 minuti.

Tabella 2 — Elementi di sospetto di AR in fase iniziale (Emery P. e coll., 20021).

Può essere utile ricordare pure che una terapia corticosteroidea o antinfiammatoria può mascherare le caratteristiche della malattia ed è pertanto raccomandabile non intraprenderla prima della diagnosi.

È tuttora dibattuto fino a quando si possa parlare di early arthritis (durata di malattia di 12, 6 o addirittura 3 mesi), quando si possa differenziare l’AR precoce dall’artrite indifferenziata e quando sia opportuno iniziare la terapia di fondo, anche aggressiva, dell’AR.

La diagnosi differenziale dev’essere posta con altre malattie reumatiche, quali artriti sieronegative, artriti microcristalline, connettiviti, polimialgia reumatica, fibromialgia, osteoartrosi.

La valutazione del paziente con AR mediante indici standardizzati è utile a monitorare l’andamento della malattia ed è indispensabile per la ricerca. Gli indici di valutazione del dolore, della disabilità e della qualità di vita sono riportati nel capitolo specifico.

Per valutare l’attività di malattia viene utilizzato il DAS28 (Disease Activity Score - 28), un indice composito raccomandato dall’EULAR (European League Against Rheumatism), che valuta il numero di articolazioni dolenti e quello di articolazioni tumefatte (su 28 esaminate), la VES e l’attività globale di malattia o stato generale di salute. Viene utilizzato per valutare la risposta al trattamento e per definire la fase di remissione, definita tale con un punteggio < 2.6 mantenuto per almeno 2 mesi.

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Tabella 3 — Disease Activity Score 28 (DAS28).

Decorso e prognosi

L’AR è una malattia cronica ingravescente, caratterizzata da molteplici possibilità di decorso, che può causare lesioni articolari ed extrarticolari di diversa gravità. Generalmente decorre con fasi di attività alternate a fasi di remissione, con progressivo coinvolgimento di un numero sempre maggiore di articolazioni e aggravamento delle lesioni nelle sedi già colpite.

La variabilità dei periodi di attività e di remissione identifica un vasto range di casi, da quelli che vanno (o spontaneamente o per effetto della terapia) in remissione dopo pochi mesi dall’esordio a quelli che, malgrado la diagnosi precoce e un trattamento adeguato, decorrono verso il peggioramento.

Complessivamente la prognosi quoad valetudinem della malattia non adeguatamente trattata ègrave. L’impegno articolare ha un carattere rapidamente evolutivo, con erosioni articolari alla RM nel 75% dei pazienti entro il primo anno di malattia. Dopo 10-20 anni di malattia, una percentuale variabile tra il 36 e l’80% presenta una grave disabilità. Deve sospendere definitivamente l’attività lavorativa dopo 5 anni di malattia il 40% dei pazienti, dopo 10 anni il 50% e dopo 15 anni il 67%. Recentemente tali percentuali sono state ridotte sensibilmente dall’effettuazione di un trattamento precoce e adeguato.

Per quanto riguarda la prognosi quoad vitam, nonostante l’AR sia ritenuta una malattia non fatale, alcuni studi dimostrano che la sopravvivenza dei pazienti da essa affetti è lievemente inferiore a quella di soggetti di pari età e sesso. La mortalità risulta più elevata nei pazienti con manifestazioni extrarticolari. Il coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare, e in particolare la cardiopatia ischemica, rappresenta una delle più frequenti cause di morte.

Non di rado la morte avviene per malattie iatrogene legate all’uso dei FANS o immunosoppressori, soprattutto infezioni e malattie renali e gastrointestinali.

Terapia farmacologica

Dato che una terapia eziologica dell’AR non può esistere, l’obiettivo della terapia farmacologica è quello di migliorare la sintomatologia e di rallentare l’evoluzione della malattia fino a raggiungere una remissione duratura.

Gli schemi di trattamento prospettati sono molteplici. Gli interventi terapeutici devono essere personalizzati al singolo paziente e adeguati al suo stato clinico. Per l’effettuazione delle terapie mediche e riabilitative è indispensabile instaurare una buonarelazione col paziente e ottenerne la fiducia e la collaborazione, informarlo correttamente sulla malattia vincendo la sua tendenza a considerarne il decorso e la prognosi immodificabili. Saranno così evitate al paziente ansie e reazioni depressive inutili e dannose che causano una scarsa compliancealla terapia.

La terapia farmacologica può essere distinta in sistemica e locale. La terapia sistemica si attua con farmaci sintomatici, FANS e steroidi, e con farmaci “di fondo” che comprendono molecole in grado di modificare il decorso della malattia (DMARDS: Disease-Modifying Anti-Rheumatic Drugs). La terapia locale consta di trattamenti mirati alla riduzione della flogosi tramite infiltrazioni intra- o peri-articolari di cortisonici ritardo. Si utilizzano nelle forme mono-oligoarticolari, nelle articolazioni resistenti al trattamento sistemico, nelle tenosinoviti, nelle borsiti e nelle cisti sinoviali.

La riduzione, o, se possibile, la sospensione, dei farmaci sintomatici, FANS e steroidi, è indicata quando l’attività di malattia è controllata dalla terapia di fondo.

Negli ultimi dieci anni la strategia terapeutica ha capovolto gli schemi della “piramide terapeutica”, secondo la quale la prima terapia da effettuare nei primi anni di malattia era basata sul solo trattamento sintomatico. Le attuali strategie di trattamento per l’AR contemplano la somministrazione di DMARDS, da soli o in combinazione, il più precocemente possibile, in quanto la rapida soppressione di attività della malattia è correlata alla riduzione del danno articolare radiologico irreversibile. Il tight control (“stretto controllo”) è una strategia di trattamento su misura per ogni singolo paziente con AR, con l’obiettivo di raggiungere una bassa attività o remissione di malattia entro un certo periodo di tempo. Il tight control deve includere un monitoraggio attento e continuo dell’attività della malattia e precocemente devono essere considerati, se necessari, aggiustamenti o cambi di terapia.

Un concetto correlato è il cosiddetto “treatment to target”, per il quale il trattamento dell’AR deve basarsi su una decisione condivisa tra paziente e reumatologo; l’obiettivo primario del trattamento è di massimizzare a lungo termine la qualità di vita attraverso il controllo dei sintomi, la prevenzione del danno strutturale, la normalizzazione della funzione e della partecipazione sociale. L’abrogazione dell’infiammazione è il modo più importante per raggiungere tali obiettivi; il treatment to target, che misura l’attività di malattia e aggiusta la terapia, ottimizza i risultati nell’AR.

Farmaci sintomatici

- FANS. Vengono adoperati sin dalle fasi di esordio della malattia; attenuano la sintomatologia dolorosa e riducono la flogosi articolare e la rigidità mattutina senza modificare l’andamento della malattia. Il loro meccanismo d’azione principale è l’inibizione della sintesi delle prostaglandine mediante l’inibizione della ciclossigenasi (COX), l’enzima che converte l’acido arachidonico in prostaglandine. I FANS con azione elettiva anti-COX-2, cioè contro la ciclossigenasi indotta dalla flogosi, hanno minori effetti indesiderati a livello gastrico e renale. Per migliorare la tollerabilità gastrica di alcuni FANS è consigliabile l’associazione con farmaci protettori della mucosa gastrica.

- Corticosteroidi. In reumatologia sono utilizzate preferenzialmente le molecole con breve durata d’azione, quali il 6-metilprednisolone, il prednisone e il deflazacort, farmaci ad alta azione antinfiammatoria, che vanno somministrati a basso dosaggio. Nei casi senza manifestazioni extrarticolari la dose non dovrebbe superare i 5 o, al massimo, i 10 mg di prednisone equivalenti per via orale, in un’unica somministrazione al mattino per non interferire sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

Farmaci “di fondo” (DMARDs)

I farmaci “di fondo” sono capaci di modificare l’andamento della malattia agendo sui meccanismi patogenetici; costituiscono, pertanto, il cardine del trattamento farmacologico dell’AR. Sono identificati come “immunosoppressori” soprattutto per il loro effetto soppressore sulla proliferazione dei linfociti T.

Attualmente i farmaci maggiormente utilizzati sono gli antimalarici di sintesi, il MTX, la leflunomide e i farmaci “biologici”.

- Antimalarici di sintesi: clorochina e idrossiclorochina. Hanno ottima tollerabilità e buona efficacia nella terapia dell’AR. Sono farmaci di prima scelta nei pazienti con AR non aggressiva di recente insorgenza, nell’AR dell’anziano e nei pazienti che non possono eseguire un regolare monitoraggio clinico e laboratoristico.

- Farmaci citotossici.

  • Methotrexate. È il più usato nel trattamento dell’AR, per la provata efficacia e la scarsa tossicità anche negli studi a lungo termine. Il meccanismo d’azione principale del MTX ad alte dosi è l’inibizione della sintesi purinica mediante l’inibizione di enzimi folato-dipendenti, tra cui la diidrofolatoreduttasi. Alle dosi impiegate nella terapia dell’AR ha un’azione inibitrice dell’IL-1. Può causare effetti avversi sulla crasi ematica e sulla funzione epatica, che vanno dunque monitorizzate con regolarità.
  • Leflunomide. È un profarmaco, il cui metabolita attivo inibisce la proliferazione dei linfociti T attivati, impedendo la sintesi pirimidinica. La sua efficacia clinica e radiologica è comparabile al MTX. Gli eventi avversi comprendono disturbi gastrointestinali, ipertensione, cefalea, epatotossicità e perdita di capelli, predisposizione alle infezioni e neuropatia periferica.

- Farmaci biologici. Sono ottenuti mediante biotecnologie, selettivamente mirati ai meccanismi patogenetici della malattia. Hanno rivelato notevole e rapida efficacia nel trattamento dell’AR, superiore ai trattamenti convenzionali sull’evoluzione della malattia e sulla qualità di vita. Sono assai efficaci, sia in monoterapia che in combinazione con MTX, ma il loro uso è gravato da costi elevati e da tossicità, quali infezioni, talora gravi, e dalla riaccensione di un processo tubercolare latente, attualmente minimizzato dalla profilassi. Sono utilizzati soprattutto nei pazienti con AR persistentemente attiva nonostante un adeguato trattamento con MTX o con altri farmaci di fondo.

  • Farmaci anti-TNF-α (etanercept, infliximab, adalimubab, golimubab). Bloccano l’attività del TNF-α, principale citochina pro-infiammatoria.
  • Farmaci anti-IL-6. Il tocilizumab, farmaco che blocca l’IL-6, ha efficacia e sicurezza a breve termine e sembra ridurre l’evolutività delle erosioni.
  • Farmaci contro i linfociti T attivati. L’abatacept modula selettivamente la co-stimolazione delle cellule T.
  • Farmaci anti-CD20 attivati. Il rituximab si rivolge contro i linfociti B attivati che presentano il marker di superficie CD20.