5.g Le metodiche di riabilitazione del malato con spondilite anchilosante
Nel contesto di una strategia terapeutica globale del paziente affetto da Spondilite Anchilosante (SA) l’approccio riabilitativo costituisce un elemento indispensabile qualunque sia lo stadio evolutivo della malattia: la maggior parte degli autori concorda, infatti, nell’associare provvedimenti di ordine fisioterapico e chinesiterapico alla terapia farmacologica.
Tutto ciò presuppone una stretta collaborazione tra reumatologo, fisiatra e fisioterapista al fine d’impostare un progetto riabilitativo individuale che abbia come obiettivo quello di limitare il più possibile il grado di disabilità per arrivare a incidere sulla qualità di vita del paziente.
Modifiche posturali in corso di SA
La SA è un reumatismo infiammatorio cronico che predilige le strutture articolari della colonna vertebrale, provocando anchilosi ossea. Il processo infiammatorio esordisce abitualmente a livello delle articolazioni sacroiliache e da esse si estende al rachide (articolazioni intervertebrali e costovertebrali) procedendo in senso craniale dal tratto lombare fino a quello cervicale (anche se alcuni distretti possono essere risparmiati).
Ciò provoca un’importante sintomatologia algica e un progressivo irrigidimento di tutta la colonna, con grave compromissione delle sue funzioni statico-dinamiche. Per scaricare i legamenti che stabilizzano le articolazioni sacroiliache si verifica un movimento di verticalizzazione del sacro che provoca un’iperestensione delle anche e una scomparsa della lordosi lombare fisiologica. Il centro di gravità della parte superiore del tronco si sposta allora davanti ai corpi vertebrali; ciò determina una forza d’inclinazione in avanti della colonna vertebrale e accentua la cifosi dorsale. La rigidità progressiva ascendente fissa questa posizione. La limitazione del campo visivo, dovuta alla proiezione della testa in avanti, sul prolungamento della cifosi dorsale, può essere compensata da un’iperlordosi del collo. Tale modificazione della postura provoca un riavvicinamento delle inserzioni dei muscoli glutei e addominali, diminuendone la forza.
Le anche, se compromesse, assumono una postura in flessione, incrementata dall’ipotrofia dei muscoli glutei, che, data la perdita della lordosi lombare, viene compensata dalla flessione delle ginocchia. Questi tentativi di compenso, messi in atto per cercare di mantenere l’appiombo della colonna, determinano alterazioni posturali che, mantenute nel tempo, possono strutturarsi in anchilosi a causa della tendenza del processo patologico di fondo; nelle forme più gravi, il soggetto può assumere il tipico atteggiamento camptocornico (ipercifosi dorsale alta, con iperestensione cervicale, perdita della lordosi lombare, semiflessione delle anche e delle ginocchia).
Inoltre la compromissione delle articolazioni costovertebrali e costotrasversarie posteriormente e costosternali anteriormente riduce l’escursione toracica, facilitando nel tempo l’instaurarsi di un’insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo.
- Figura 1 — Modificazioni posturali in corso di SA.
- a. Il bacino ruota in retroversione e il baricentro si sposta in avanti; lo spostamento in avanti; lo spostamento in avanti del baricentro aumenta la cifosi dorsale, il rachide cervicale superiore si iperestende per mantenere orizzontale la linea dello sguardo.
b. La postura camptocormica: la cifosi è talmente accentuata che il soggetto è costretto a flettere anca e ginocchio per mantenere orizzontale lo sguardo.
c. Accorciamento dei muscoli flessori dell’anca, degli ischiocrurali e degli addominali, iperallungamento deo muscoli paravertebrali e glutei.
Programma riabilitativo
Per quanto riguarda il programma riabilitativo, oltre a identificare lo stadio evolutivo della malattia (iniziale, intermedio, finale) riteniamo utile distinguere schematicamente l’intervento riabilitativo in fase acuta da quello in fase post-acuta: la tipica evoluzione della SA prevede, infatti, l’alternarsi di periodi di riacutizzazione e di remissione della sintomatologia algica.
Valutazione antropometrica
Il trattamento riabilitativo della SA presuppone un’accurata valutazione del paziente, oltre all’identificazione dello stadio evolutivo della malattia.
Lo scopo principale della scheda di valutazione riabilitativa è quello di monitorare nel tempo l’andamento della patologia e l’efficacia del programma riabilitativo stesso.
La valutazione riabilitativa comprende, oltre alla valutazione del dolore, della disabilità, dell’attività di malattia e dello stato globale di salute illustrata in altri capitoli, varie valutazioni antropometriche.
Misurazione del profilo rachideo (frecce di Forestier). È una misurazione specifica della SA. Si chiede al paziente di mantenere la posizione eretta, con talloni, glutei e rachide dorsale appoggiati alla parete, e di avvicinare il più possibile la testa al muro evitando movimenti in iperestensione del collo. Il terapista misura la distanza che separa la protuberanza occipitale dalla retrostante parete. I valori ottenuti dovrebbero essere compresi, per considerarsi normali, tra 0 e 1 cm. Difficilmente, però, i pazienti con SA raggiungono tali valori, a causa della marcata cifosi cervico-dorsale che accompagna la malattia. Si possono rilevare altre frecce, come la freccia cervicale (distanza tra il processo spinoso di C4 e il muro), la freccia dorsale (se il paziente non riesce neppure ad appoggiare il dorso, con riferimento T8) e la freccia poplitea (distanza tra cavo popliteo e il muro, nel caso che il paziente sia costretto a flettere le ginocchia per mantenere la linea dello sguardo orizzontale).
Tali misurazioni sono molto indicative e ci danno un quadro più preciso della deformità in senso sagittale.
Valutazione della mobilità generale della colonna. La flessione anteriore si valuta misurando col metro a nastro la distanza dita-suolo, col soggetto a piedi uniti e ginocchia estese. Stesso discorso vale per la flessione laterale, con la differenza che viene chiesto al soggetto di appoggiare il dorso alla parete, in modo da evitare compensi, prima di procedere alla misurazione di entrambi i lati.
Test di Schöber — valutazione della flessibilità del rachide. Si tratta di un test che dà una misura precisa della compromissione della sacro-iliaca e delle vertebre lombari nel movimento di flessione, valutazione fondamentale, quindi, soprattutto nelle prime fasi della malattia. Si chiede al paziente di mettere a nudo la propria schiena e di collocarsi in posizione eretta, coi piedi uniti. Il terapista segna direttamente sulla cute del soggetto il punto corrispondente all’apofisi spinosa della quinta vertebra lombare. Di seguito marca un secondo punto, posto 10 cm in senso craniale. Si chiede quindi al paziente di flettersi in avanti e si misura nuovamente il tratto segnato in precedenza. L’escursione misurata, che nei soggetti normali dovrebbe assestarsi intorno ai 4.5-5 cm (dunque, un totale di 14-15 cm di distanza tra i due punti), è un indice specifico di valutazione della flessibilità lombare.
Il test può essere effettuato anche prendendo in considerazione il rachide nella sua interezza. In tal caso, il primo punto marcato è a livello dell’apofisi spinosa della settima vertebra cervicale, cui fanno seguito, procedendo in senso cranio-caudale, altri cinque punti alla distanza di 10 cm l’uno dall’altro. Si ottengono, così, 5 segmenti che permettono al terapista, una volta che il paziente abbia flesso anteriormente il tronco, di valutare le escursioni avvenute nei diversi distretti del rachide.
Valutazione della mobilità del rachide cervicale. È fondamentale valutarla sin dalle prime fasi di malattia. Per le misurazioni, eseguibili sia in piedi che da seduti, si utilizza il metro a nastro, accertandosi che il soggetto abbia prima raggiunto il massimo grado di escursione del movimento senza compensi.
La flesso-estensione si valuta chiedendo al soggetto di flettere e di estendere la testa, misurando la distanza del mento dalla fossetta giugulare (in cm). La flessione laterale si misura attraverso la distanza trago-acromion di entrambi i lati (in cm). La rotazione, infine, è data dalla distanza tra mento e acromion destro e sinistro (in cm).
Valutazione dell’espansibilità toracica. La mobilità toracica viene valutata attraverso un raffronto tra le misurazioni delle escursioni ottenute nel corso di un’inspirazione e di un’espirazione forzate. Il terapista provvede a posizionare un metro a nastro attorno alla gabbia toracica, prendendo come riferimento un piano orizzontale passante per un punto posto sotto i capezzoli, in caso di un paziente di sesso maschile, o a livello del solco sottomammario, se si tratta di una donna. Quindi richiede al soggetto di effettuare una serie di respirazioni profonde, rilevando, nel corso degli atti respiratori successivi al primo, i diversi perimetri della gabbia toracica. Negli individui normali l’escursione si assesta sui 2.5 cm circa. Forti limitazioni nelle fasi iniziali della patologia possono essere indice non tanto di un processo flogistico a carico delle articolazioni costo-vertebrali o costo-sternali, come nel corso della malattia, ma di una massiccia contrattura della muscolatura toracica, causata dal dolore innescato dalla flogosi delle sacro-iliache o delle vertebre lombari. In questo caso, se si rivaluta l’espansibilità toracica dopo alcuni trattamenti di rilassamento e di allungamento, si noteranno notevoli progressi.
Valutazione della mobilità delle grandi articolazioni. Soprattutto di anca, spalla e ginocchio. Anche in tal caso si rileverà la presenza di accorciamenti muscolari, contratture (molto frequenti a carico della muscolatura ischiocrurale, per esempio) o di limitazioni articolari vere e proprie, causate dal processo distruttivo della flogosi.
Trattamento in fase acuta
In caso di poussée infiammatoria (fase di acuzie), il trattamento riabilitativo, opportunamente associato a una terapia farmacologica adeguata, ha lo scopo di alleviare il dolore e le contratture muscolari antalgiche. Per raggiungere questo obiettivo, la maggior parte degli autori suggerisce il riposo articolare in posizione di scarico completo e una serie di norme d’igiene posturale volte a evitare sollecitazioni dolorose e potenzialmente nocive sui distretti articolari maggiormente coinvolti. Secondo la nostra esperienza, può risultare utile la postura detta “il cubo” (utilizzata soprattutto per il trattamento della lombalgia acuta), consistente nel decubito supino su una superficie rigida, con le gambe appoggiate sopra una sedia in modo da mantenere le anche e le ginocchia in flessione di 90° (di qui il nome). Si chiede al paziente di rilassarsi, respirando profondamente. In questa posizione la colonna lombare e le articolazioni sacroiliache sono in scarico completo.
Riteniamo, tuttavia, che la mobilizzazione, seppur con cauti esercizi di mantenimento dell’articolarità e del tono-trofismo muscolari, associati a esercizi respiratori, debba essere intrapresa il prima possibile, col rigoroso rispetto della soglia del dolore e le dovute cautele.
In tale fase, per il controllo della sintomatologia algica e delle contratture muscolari si può ricorrere anche ad alcune metodiche di terapia fisica strumentale, tra cui la più utilizzata è l’elettroanalgesia (correnti diadinamiche, correnti interferenziali, TENS, cioè Trans-cutaneous Electrical Nerve Stimulation).
Trattamento in fase post-acuta
Nella fase post-acuta (remissione) la flogosi articolare è modesta; sono spesso presenti dolore, deformità o limitazioni articolari, generati soprattutto dalla contrattura muscolare antalgica. Gli obiettivi specifici del trattamento riabilitativo, in questa fase, sono la soppressione della contrattura dei muscoli periarticolari, la prevenzione delle deformità, il recupero della motilità articolare, l’aumento del tono-trofismo della muscolatura estensoria della colonna addominale e degli arti inferiori (glutei, quadricipite, tricipite). In particolare, una delle battaglie più ardue del riabilitatore sarà quella di contrastare il progressivo irrigidimento della colonna vertebrale preservandone la funzionalità al massimo grado possibile: nella maggior parte dei casi è preferibile una colonna che stia diventando rigida in estensione piuttosto che in flessione.
La riabilitazione si avvarrà di:
1. posture correttive;
2. esercizi attivi;
3. norme di economia articolare e regole d’igiene di vita.
1. Posture correttive. Le posture correttive risultano fondamentali per contrastare gli atteggiamenti viziati prima che si strutturino le deformità della colonna e queste interferiscano con l’autonomia e la vita di relazione; in particolare, il loro scopo è quello d’impedire e/o correggere l’ipercifosi dorsale, la scomparsa della lordosi lombare e la perdita di estensione dell’articolazione dell’anca. Si chiede al paziente di effettuare tali posture in modo progressivo, per un tempo che varia dai 15 ai 30 minuti, realizzando una o più posture a seduta, per un totale di 2 sedute al giorno. Il mantenimento delle posture dev’essere eseguito con gradualità, rispettando il sintomo dolore: se il dolore aumenta, a causa di un’ipercorrezione, può innescare la risposta antalgica della muscolatura, che vanificherà il lavoro. È assai importante verificare l’esecuzione corretta delle posture non solo dal punto di vista meccanico (rapporti articolari corretti), ma anche nell’atteggiamento del paziente: è necessario rilassare la muscolatura durante l’esecuzione della postura, tramite la regolazione della respirazione (tendente a bloccarsi in apnea per la rigidità muscolare); l’idea è quella di sciogliere una rigidità gradualmente e non di vincere la deformità con la forza. Le posture correttive fondamentali (Fig. 5) sono:
- a. decubito supino: un piccolo cuscino sotto il bacino favorisce l’estensione delle anche e la lordosi lombare. Può essere aggiunta la posizione delle braccia aperte col palmo delle mani sotto il capo, per migliorare l’apertura della gabbia toracica e l’allungamento del muscolo gran pettorale;
- b. decubito prono: il paziente assume una postura in decubito prono, con gli arti inferiori estesi e quelli superiori flessi con le mani incrociate sotto la fronte. Sotto le cosce viene posizionato un cuscino che contribuisce a incrementare, oltre alla lordosi lombare, pure lo stiramento delle anche. Gli arti superiori flessi con le mani sotto la fronte favoriscono la lordosi del tratto cervicale (soprattutto nel tratto C3/C7, tendente a rettilineizzarsi), la riduzione della cifosi dorsale e al contempo lo stiramento dei muscoli grandi pettorali;
- c. sfinge: decubito prono, appoggio sui gomiti, coi glutei rilassati e il capo che guarda in avanti. Tale postura combatte la perdita della lordosi lombare e l’ipercifosi dorsale. Se la posizione provoca dolore, possono essere posti sotto lo sterno dei cuscini di altezza progressiva invece dell’appoggio sui gomiti.
2. Esercizi attivi. Per quanto riguarda la cinesiterapia, gli obiettivi principali sono:
- alleviare la sintomatologia dolorosa;
- mantenere il massimo grado di mobilità della colonna;
- conservare una buona espansione della gabbia toracica;
- prevenire la comparsa di deformazioni e l’anchilosi sia assiale che periferica;
- migliorare la qualità di vita.
Esistono alcuni elementi ai quali la cinesiterapia applicata alla SA deve attenersi:
- dev’essere adattata alle caratteristiche specifiche del singolo paziente (impegno flogistico, deformità articolari, comorbilità, esigenze personali e/o lavorative ecc.);
- dev’essere interrotta in caso di esacerbazione del processo infiammatorio;
- dev’essere assidua e continuativa (gli esercizi devono essere praticati quotidianamente);
- non deve mai provocare dolore.
Riguardo a quest’ultimo punto, riteniamo che il rispetto della soglia del dolore, assolutamente soggettiva, rappresenti un cardine della rieducazione in reumatologia, onde evitare l’aumento della rigidità muscolare, conseguente alla sua esacerbazione. Dato che i soggetti reagiscono in maniera completamente diversa al dolore, sarà compito del terapista valutare la risposta del paziente a questo sintomo, in modo da personalizzare il trattamento regolando la qualità del movimento (velocità, intensità e coordinazione armonica) oltre che il tipo di esercizio.
Sulla base della nostra esperienza, riteniamo che le caratteristiche di un movimento dotato di una valenza terapeutica in soggetti affetti da SA siano la lentezza, l’armonia (intesa come fluidità di movimento) e la respirazione corretta (evitando soprattutto fasi di apnea).
La cinesiterapia attiva dovrà essere eseguita con costanza dal paziente a domicilio. In tal senso è fondamentale informare i pazienti e i relativi familiari sul decorso della malattia e sui punti cardine del programma riabilitativo, al fine di ottimizzare la loro compliance al trattamento. Compito dell’équipe riabilitativa è quindi quello d’insegnare un programma di esercizi attivi selezionati in base alle caratteristiche generali del paziente (sesso, età, abitudine all’attività motoria ecc.) e allo stadio della patologia, accompagnandolo e guidandolo in questo lungo processo di scoperta dei propri limiti e delle potenzialità di recupero attivate da una cinesiterapia svolta con costanza e attenzione. La percezione della propria condizione di miglioramento in relazione all’attività fisica è lo stimolo più potente per l’acquisizione della disciplina necessaria a svolgere il programma di autotrattamento. L’équipe riabilitativa interviene modificando il tipo di esercizi durante la progressione della patologia e soprattutto fornendo nuove motivazioni alla prosecuzione del piano di autotrattamento. In tal senso l’attività in piccoli gruppi coordinati dal terapista può essere una modalità privilegiata per continuare a seguire nel tempo il paziente.
- Figura 6 — a. Retroversione/antiversione del bacino. b. Il gatto. c. Estensione alternata di braccio e gamba.
Ricordiamo alcuni esercizi, raggruppati in base al loro obiettivo terapeutico, utilizzati nel trattamento cinesiterapico:
esercizi di mobilizzazione attiva: riguardano la mobilità del rachide, nei tratti lombare, dorsale e cervicale, e quella delle anche e delle spalle (se coinvolte dalla patologia). È possibile pure integrare con esercizi passivi in rilassamento del rachide e dei cingoli per facilitare il mantenimento e il recupero dell’articolarità;
esercizi di rinforzo muscolare: soprattutto a carico dei muscoli estensori del rachide cervico-dorsale, dei romboidi e degli extrarotatori dell’omero (per contrastare la cifosi dorsale), dei glutei e dei quadricipiti (per opporsi rispettivamente alla flessione dell’anca e del ginocchio), degli addominali;
esercizi di allungamento (stretching): per vincere la rigidità di muscoli (soprattutto paravertebrali, pettorali, trapezio, intrarotatori dell’omero, ileopsoas, ischiocrurali, tricipite surale) che, tramite la loro retrazione, sono responsabili di un atteggiamento in flessione del corpo;
esercizi respiratori: in una fase ancora iniziale hanno la funzione di contrastare la perdita di elasticità della gabbia toracica, cercando di mantenere la residua dinamica costale, mediante mobilizzazione delle articolazioni condro-sternali e costo-vertebrali ed esercizi di movimento del tronco in associazione a precisi atti respiratori; mentre, in una fase più avanzata, hanno lo scopo di ottimizzare la respirazione addomino-diaframmatica;
- Figura 7 — Esercizi respiratori:inspirazione forzata con stabilizzazione della scapola per rafforzare il muscolo gran dentato e piccolo pettorale.
tecniche con approccio globaleed esercizi di presa di coscienza corporea: per rendere il paziente consapevole delle alterazioni posturali, ridurre la contrattura muscolare e lo stato ansioso (metodi Feldenkrais, Rességuier, Souchard, Mézières, Bienfait, Qi Gong, Yoga terapeutico ecc.).
3. Norme di economia articolare e regole d’igiene di vita. È d’importanza fondamentale considerare le posture e i movimenti che il malato assume durante la giornata. L’economia articolare prevede l’apprendimento di una gestualità adeguata volta a ridurre le sollecitazioni articolari nocive e a economizzare le articolazioni malate: tutto ciò richiede un impegno motivato e consapevole del paziente, anche e soprattutto al di fuori della seduta di trattamento, cioè durante lo svolgimento delle normali attività della vita quotidiana.
I princìpi fondamentali sono:
ridurre le posture in cifosi mantenendo il più possibile una verticalità della colonna in posizione sia eretta che seduta; questo, infatti, riduce sensibilmente il carico sulle strutture anteriori della colonna e rallenta la progressione della deformità del rachide. È chiaro che tale norma va “calzata” sul soggetto in base alla gravità della patologia: insegnare un compenso (ovvero il cambiamento di un modo di muoversi evitando di sollecitare l’articolazione colpita dalla patologia) non è sempre la scelta migliore, poiché, se la persona impara a fare a meno del tutto del movimento di flessione, si rischia di accelerare l’irrigidimento della colonna. La cosa fondamentale è che si ristabilisca un equilibrio tra i movimenti e le posture in flessione ed estensione;
dormire su un letto rigido con un cuscino basso privilegiando la posizione supina o prona. La posizione sul fianco può essere assunta stando attenti che il cuscino abbia l’altezza pari alla distanza spalla-letto, in modo da mantenere il tratto cervicale allineato, e avendo l’accortezza di estendere completamente la gamba che sta sotto; ciò pone il tratto lombare in una posizione di leggera estensione. È da evitare la posizione sul fianco in completa flessione (fetale);
evitare sforzi al rachide lombare, utilizzando la muscolatura degli arti inferiori nella movimentazione dei carichi. Ovviamente anche qui vale una norma di buonsenso nel non cancellare completamente i movimenti di flessione, bensì nell’imparare a distribuire i carichi tra le gambe e la colonna;
utilizzare ausili per prevenire lo stress delle articolazioni: questo vale soprattutto per le attività prolungate e ripetitive, come, per un autista, il ruotare il capo per guardare dietro, ma non per le attività ripetute occasionalmente, che sono anzi da facilitare. In alcuni casi gli ausili sono fondamentali perché le deformità sono ormai strutturate e sono necessari compensi. Gli ausili più comuni sono l’infila-calze, i calzascarpe allungati, i manici di attrezzi allungati, gli specchietti retrovisori allargati (per evitare di ruotare il capo).
Terapia strumentale. Anche nelle fasi di remissione della malattia possono trovare indicazione alcune metodiche strumentali, come gli ultrasuoni, che sono in grado di aumentare l’elasticità dei tessuti connettivi paravertebrali e di combattere la rigidità per la loro azione fibrolitica.
Riabilitazione in acquaI
La riabilitazione in acqua si avvale di vasche predisposte con temperature comprese tra i 32 e i 34°.
Come illustrato nel cap. 3.b, i vantaggi della riabilitazione in acqua sono molti. Basti considerare gli effetti del galleggiamento sulla riduzione del carico sulla colonna in relazione al livello d’immersione del corpo: una persona che cammina con l’acqua fino al petto ha riduzione di carico sui dischi lombari fino al 60% (una persona di 80 kg avrà un peso apparente di 32 kg!).
- Figura 8 — Effetti del galleggiamento sui carichi vertebrali. Variazioni del peso apparente in percentuale del peso reale, in funzione del livello d’immersione.
I primi esercizi sono le camminate, che consistono nel deambulare immersi nell’acqua in postura eretta, seduta o da supini, coi piedi a terra, in avanti e indietro e di lato. Ciò permette un notevole effetto di mobilizzazione della colonna, oltre a una tonificazione della muscolatura degli arti inferiori e degli addominali.
Sono poi possibili numerosi esercizi in scarico completo che consentono una precoce mobilizzazione anche nelle fasi della patologia immediatamente successive a quelle acute. Questi posso essere eseguiti sia in galleggiamento verticale, mediante utilizzo di ciambella, che in galleggiamento supino, in modalità passiva o attiva. Favoriscono il recupero e/o il mantenimento della mobilità vertebrale su tutti i piani di movimento.
Qualora vi sia un interessamento dei cingoli, sono proposte attività specifiche per anche e spalle, utilizzando all’occorrenza tubi e/o tavolette galleggianti. Questi si rivelano essenziali anche nello svolgimento di esercizi per la stimolazione della propriocettività, ridotta in acqua per effetto della spinta di galleggiamento.
Il nuoto può essere consigliato come terapia di mantenimento (soprattutto lo stile dorso) per tonificare la muscolatura, inclusa quella respiratoria, purché sia eseguito correttamente.
Metodo Feldenkrais core-integration
La scelta di elaborare un protocollo per i pazienti con SA basato sui princìpi del metodo Feldenkrais, sulla mappa di DellaGrotte e sulle più recenti conoscenze direzionali e vettoriali relative al comportamento della fascia si basa sulle seguenti considerazioni: è una metodica di tipo globale e rispetta il concetto di continuità miofasciale, basata sulle leggi della biomeccanica. Perseguire un obiettivo chinesiterapico utilizzando i princìpi Feldenkrais significa trasformare, ad esempio, un tradizionale esercizio di estensione del rachide dorsale in una funzione intenzionale globale utilizzando l’intera via osteo-artro-miofasciale. Gli schemi motori combinabili ad azione centrifuga e centripeta gestiti dalle stazioni propriocettive spinali ripetono in termini direzionali le caratteristiche anatomiche e di disposizione delle catene miofasciali: grazie a questo meccanismo si ottiene non solo un lavoro periferico di ottimizzazione delle lunghezze muscolari e fasciali garantite anche dai vettori di forza, ma un vero bombardamento neurologico lungo vie sinaptiche “atrofizzate” o “bloccate” a causa di compensi, limitazioni funzionali o schemi antalgici. Il tradizionale esercizio chinesiterapico si trasforma in una riprogrammazione dello schema neuromotorio che il paziente automatizzerà più facilmente nelle ricorrenti funzioni quotidiane sui tre piani di movimento.
È una metodica di tipo dinamico, cioè basata sostanzialmente sul movimento, e non sulla riprogrammazione statica delle lunghezze miofasciali. Considerando che la SA comporta non solo rigidità, ma anche perdita di consapevolezza motoria, dovuta alla disfunzione che si crea nel movimento, sembra utile una metodica che metta il focus sulla funzione e la rieducazione dei fondamentali schemi neuromotori (rieducazione delle posizioni e dei movimenti da seduti, rieducazione dello schema del cammino, rieducazione delle rotazioni e delle flesso-estensioni ecc.).
È una metodica che educa il paziente alla consapevolezza corporea, in cui, invece di dare importanza all’esecuzione finale dell’esercizio e al suo scopo, si privilegia l’ascolto delle variazioni propriocettive e della respirazione nel corso dell’apprendimento motorio, favorendo così un naturale rilassamento psico-corporeo profondo. Considerando che la SA colpisce più di frequente l’uomo della donna, è facile imbattersi in pazienti la cui consapevolezza corporea e la cui immagine di sé sono limitate e in seguito aggravate dalla malattia. Inoltre, la posizione del tronco in flessione e le riacutizzazioni periodiche dello stato infiammatorio rendono i soggetti con SA affaticati, stressati o, per controreazione, in depressione latente. Il protocollo fisioterapico deve quindi essere un momento non soltanto utile, ma pure rilassante e piacevole, che rispetti i tempi di apprendimento del paziente.
Spesso, imparare a percepire il corpo prima del dolore, sentire le variazioni di movimento, ascoltare le modificazioni relative agli appoggi, prima e dopo l’incontro, capire la differenza tra respirazione addominale, toracica e diaframmatica, evoca una risposta dei pazienti forte e immediata, che talora include reazioni emotive (commozione, apertura alla condivisione, entusiasmo) dovute alla gioia di riscoprire il corpo non come una realtà da combattere, bensì come un nuovo elemento da percepire e vivere con completezza e curiosità.
È infine una metodica che sviluppa un attento, completo, esauriente lavoro di gruppo, chiamato “CAM” (Conoscersi Attraverso il Movimento), nel metodo Feldenkrais, e “CEM” (Core Exercises Movement), nella metodica di Josef DellaGrotte (cfr. cap. 4.b).
Come emerge dalla letteratura, il protocollo di gruppo favorisce l’incontro, lo scambio, il confronto sulle cure e le condizioni comportate dalla malattia; ha un ottimo rapporto costi/benefici e — se limitato a 5-7 persone — permette al fisioterapista di seguire i pazienti con attenzione.