Parte seconda
9. L’osteoporosi

9.a L’osteoporosi: la malattia

Indice dell'articolo

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative dell’osso che si accompagnano ad aumento del rischio di frattura.

Le fratture, che rappresentano l’unica manifestazione clinica della malattia, possono quindi conseguire a traumi di scarsa entità. Sono considerate “primitive” le forme di osteoporosi che compaiono dopo la menopausa o comunque con l’avanzare dell’età, mentre “secondarie” sono quelle determinate da un ampio numero di patologie e farmaci.

L’indagine densitometrica consente oggi di misurare in modo accurato e preciso la massa ossea e in particolare la sua densità minerale, responsabile della resistenza meccanica dell’osso per il 60-80%.

In base alla classificazione dell’OMS, è possibile definire le seguenti categorie diagnostiche: normale, osteopenia, osteoporosi e osteoporosi stabilizzata. Si parla di osteoporosi quando la densità minerale ossea (BMD) è di 2.5 Deviazioni Standard (DS) al di sotto del valore densitometrico del giovane adulto, definito “valore di picco” (T-score = - 2.5 DS); di osteoporosi stabilizzata, con un T-score < - 2.5 + frattura; di osteopenia, con un T-score compreso tra - 2.5 e - 1.0 DS; di normalità, quando il T-score è compreso tra + 2.5 e - 1.0.

Va precisato che si tratta solo di una diagnosi densitometrica traducibile in diagnosi clinica soltanto dopo una valutazione complessiva di diagnostica differenziale.

La soglia diagnostica in T-score non coincide con la soglia terapeutica, poiché altri fattori, scheletrici ed extrascheletrici, condizionano sia il rischio di frattura del singolo soggetto sia la decisione d’intraprendere o meno un trattamento farmacologico.

EPIDEMIOLOGIA

L’osteoporosi rappresenta oggi, nel mondo occidentale, una malattia di notevole rilevanza sociale, coinvolgendo circa un terzo delle donne in menopausa. In Italia, è stato stimato che ci siano, oggi, circa 3.5 milioni di donne e 1 milione di uomini affetti da osteoporosi, mentre 6.5 milioni di donne e 2 milioni di uomini rientrerebbero nella definizione di osteopenia. Inoltre, poiché nei prossimi vent’anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età è destinata ad aumentare del 25%, nel Rapporto Europeo sull’Osteoporosi è stato previsto per l’Italia, tra il 1995 e il 2050, un aumento del 140% del numero di fratture di femore nella popolazione al di sopra dei 50 anni d’età. Questa morbilità ha importanti implicazioni sociali ed economiche, oltre che sanitarie. I pazienti con frattura del femore prossimale presentano infatti, entro un anno dalla frattura, un tasso di mortalità del 15-30% più elevato rispetto ai soggetti di pari sesso ed età non fratturati. Anche le fratture vertebrali, a 5 anni dall’evento, mostrano un tasso di mortalità paragonabile a quello delle fratture femorali. In Italia, le stime dei costi annuali per le cure mediche, chirurgiche e riabilitative per l’osteoporosi (essenzialmente legate alle fratture e alle loro complicanze) sono comprese tra 500 milioni di euro e oltre 800 milioni di euro.

OSTEOPOROSI SECONDARIE

Le forme di osteoporosi secondaria sono considerate globalmente responsabili del 20% delle fratture nella donna e di oltre il 40% nell’uomo. Nella Tab. 1 sono riportate le cause di osteoporosi secondaria. Tra queste, l’osteoporosi da glucocorticoidi rappresenta la forma di gran lunga più frequente, tanto da costituire da sola poco meno della metà dei casi di osteoporosi secondaria.

Malattie endocrine
■ Ipogonadismo ■ Ipercortisolismo ■ Iperparatiroidismo ■ Ipertiroidismo ■ Iperprolattinemia ■ Diabete mellito tipo I ■ Acromegalia ■ Deficit GH 8
Malattie ematologiche
■ Malattie mielo- e linfoproliferative ■ Mieloma multiplo ■ Mastocitosi sistemica Talassemia
Malattie apparato gastro-enterico
■ Malattie croniche epatiche ■ Morbo celiaco ■ Malattie infiammatorie croniche gastro-intestinali ■ Gastrectomia ■ Intolleranza al lattosio ■ Malassorbimento intestinale ■ Insufficienza pancreatica
Malattie reumatiche
■ Artrite reumatoide ■ Lupus eritematoso sistemico ■ Spondilite anchilosante ■ Artrite psoriasica ■ Sclerodermia
Malattie renali
■ Ipercalciuria idiopatica renale ■ Acidosi tubulare renale ■ Insufficienza renale cronica
Altre condizioni
■ Broncopneumopatia cronica ostruttiva ■ Anoressia nervosa ■ Emocromatosi ■ Fibrosi cistica
Malattie metaboliche del collagene (osteogenesi imperfecta ecc.)
Trapianto d’organo
Alcolismo
Fumo
Tossicodipendenza
Farmaci
■ Cortisonici ■ Ciclosporina ■ Diuretici dell’ansa ■ Ormoni tiroidei a dosi soppressive in post-menopausa ■ Anticoagulanti ■ Chemioterapici ■ Anticonvulsivanti ■ Agonisti e/o antagonisti del GnRH (Gonadotropin-Releasing Hormone)
Immobilizzazione prolungata
Grave disabilità

Tabella 1 — Condizioni associate a osteoporosi.

QUADRO CLINICO

Le alterazioni ossee che si accompagnano all’osteoporosi conducono a una riduzione della resistenza ossea e quindi al manifestarsi delle fratture da fragilità. Le sedi tipiche sono le vertebre (tratto dorso-lombare), il femore prossimale e il polso, anche se fratture di altri siti scheletrici, successive a traumi modesti, possono essere dovute all’osteoporosi.

Le fratture vertebrali sono il tipo più frequente di frattura osteoporotica.

JPEG - 48.1 Kb
Figura 1 — Frattura vertebrale.

La sintomatologia, nella metà dei casi non presente, non è in genere sufficientemente specifica da consentire una diagnosi certa, in assenza di un riscontro radiografico. Il dolore alla schiena, sintomo più rilevante, in fase acuta di solito è intenso e invalidante e si risolve nell’arco di un mese circa, mentre il dolore cronico può persistere per anni, verosimilmente in relazione alle modificazioni posturali determinate dalle mutate condizioni di carico sul rachide. Le fratture vertebrali sono le principali responsabili della riduzione di altezza delle donne anziane (mediamente 2 cm per ogni singola frattura). L’acquisizione di un atteggiamento cifotico comporta rilevanti conseguenze a livello cardio-respiratorio e addominale nonché aumento del rischio delle cadute. Tutto ciò determina una significativa compromissione della qualità di vita, con ripercussioni psicologiche e sociali.

L’importanza di diagnosticare e quindi trattare l’evento fratturativo vertebrale è poi sottolineata dal pericolo che s’inneschi una catena di fratture vertebrali, il cosiddetto “effetto-domino”: le fratture vertebrali prevalenti sono infatti associate a un rischio aumentato di circa 5 volte di sviluppare nuove fratture vertebrali e dopo la prima frattura 1 paziente su 5 si rifrattura entro un anno.

A carico dell’avambraccio, la frattura più frequente nei pazienti osteoporotici è quella dell’epifisi distale del radio (di Colles), associata o meno alla frattura dello stiloide ulnare. È quasi sempre scomposta e pressoché sempre clinicamente manifesta.

JPEG - 75 Kb
Figura 2 — Frattura di Colles.

L’incidenza delle fratture di polso cresce in modo lineare dopo la menopausa, per raggiungere il picco nella settima decade di vita, senza ulteriori incrementi successivi.

La frattura femorale rappresenta la più seria complicanza dell’osteoporosi, comportando un incremento della mortalità, a un anno, da 2 a 4 volte, un aumentato rischio di perdita dell’autosufficienza e di conseguente istituzionalizzazione. Il maggior numero di fratture del femore prossimale colpisce il sesso femminile, in oltre il 60% dei casi ultrasettantacinquenni. La frattura si verifica negli anziani in seguito a traumi di bassa energia, e, anche in questo caso, la qualità di vita viene gravemente compromessa, con deterioramento più marcato nei malati in cui era peggiore lo stato di salute prima della frattura.

JPEG - 37.1 Kb
Figura 3 — Frattura femorale.

In assenza di fratture da fragilità, la sintomatologia clinica correlata all’osteoporosi è estremamente scarsa e il dolore, attribuibile solo alla progressione delle alterazioni scheletriche tipiche dell’osteoporosi, non è riconosciuto. Si possono comunque ricercare segni o fattori di rischio (Tab. 2) che si associano frequentemente a un aumentato rischio di osteoporosi, o meglio, di future fratture da fragilità. L’osteoporosi è una malattia multifattoriale e i fattori di rischio sono numerosi. Alcuni di tali fattori aumentano il rischio fratturativo mediante la riduzione della massa ossea (sesso femminile, inadeguato apporto di calcio con la dieta, scarsa attività fisica, menopausa precoce); altri aumentano il rischio o le conseguenze di cadute (disabilità, abuso di benzodiazepine, fattori ambientali, abuso alcolico); altri ancora agiscono sia sulla massa ossea che sul rischio di cadute (età, fumo, basso peso corporeo, carenza di vitamina D).

Il patrimonio genetico sembra essere il maggior determinante della variabilità interpersonale della massa ossea. La predisposizione all’osteoporosi è attribuibile all’effetto complessivo e combinato di molti polimorfismi genetici. Attualmente, polimorfismi di geni che codificano il collagene di tipo 1, il recettore estrogenico e quello della vitamina D sono proposti come possibili determinanti genetici del rischio osteoporotico; in realtà ognuno di questi polimorfismi spiega soltanto meno del 30% della varianza della massa ossea e ancor meno del rischio di sviluppare osteoporosi.

Sesso femminile
Menopausa prematura
Età
Amenorrea primaria o secondaria
Ipogonadismo maschile primitivo o secondario
Etnia europea o asiatica
Storia di fratture atraumatiche
Densità Minerale Ossea (BMD)
Trattamento cortisonico
Elevato turnover osseo
Familiarità per frattura di femore
Scarsa acuità visiva
Basso peso corporeo
Malattie neuromuscolari
Fumo di sigaretta
Eccessivo consumo di alcolici
Immobilizzazione protratta
Basso apporto di calcio
Carenza di vitamina D

Tabella 2 — Fattori di rischio di fratture osteoporotiche.

DIAGNOSI

La densità ossea rappresenta il miglior fattore predittivo per frattura. Le fratture nei pazienti osteoporotici sono legate per un 60-80% circa a una riduzione della massa ossea, il cui valore-soglia, secondo la classificazione dell’OMS, si basa su valori di deviazione standard comparati coi valori di densità ossea delle donne normali in pre-menopausa al picco di massa ossea (T-score).

Attualmente il gold-standard per la diagnosi densitometrica di osteoporosi è rappresentato dalla densitometria a raggi X (DXA) del femore e della colonna lombare.

PNG - 488.1 Kb
Figura 4 — Densitometro a raggi X.

Il valore predittivo del rischio di frattura è più elevato se si misura il sito specifico. La misura total-body non è ancora stata validata per la diagnosi e per la valutazione del rischio di frattura. Benché in misura inferiore, la valutazione densitometrica a raggi X o l’ultrasonografia di siti periferici (polso, calcagno, falangi) sono comunque predittive di fratture in sedi scheletriche clinicamente più rilevanti, come quelle vertebrali e di femore, e possono essere effettuate in caso d’impossibilità di misurazione o d’interpretazione del rachide e/o del femore.

PNG - 330.5 Kb
Figura 5 — Ultrasonografo del calcagno.

Secondo linee-guida nazionali e internazionali l’indagine densitometrica è raccomandata a tutte le donne oltre i 65 anni. Per donne di età inferiore o nei maschi l’indagine è raccomandata solo in presenza di fattori di rischio, come menopausa precoce (< 45 anni), magrezza (< 57 kg o BMI [Body Mass Index] < 19 kg/m2), tabagismo, forme secondarie di osteoporosi.

Il laboratorio è da considerarsi un utile complemento nella diagnostica dell’osteoporosi, in quanto può permettere la diagnosi differenziale con altre malattie che possono determinare un quadro clinico o densitometrico simile a quello dell’osteoporosi e può individuare possibili fattori causali, consentendo una diagnosi di osteoporosi secondaria e quindi, dove possibile, un trattamento eziologico.

PREVENZIONE

Le misure di trattamento non-farmacologico per migliorare la resistenza dell’osso comprendono la correzione di alcuni stili di vita e un regolare programma di attività fisica finalizzati a ridurre o a ritardare la perdita di massa ossea. I pazienti a rischio di osteoporosi dovrebbero pertanto essere consigliati in merito alle misure comportamentali da adottare, allo scopo di ridurre i fattori di rischio di perdita di massa ossea, quali il fumo di sigaretta e un consumo eccessivo di alcol e di caffeina. Dovrebbe inoltre essere raccomandata un’alimentazione con un’adeguata introduzione di calcio e vitamina D nonché con un apporto proteico bilanciato.

Il calcio, da solo, non è in grado di prevenire o curare l’osteoporosi, ma è comunque una componente indispensabile in ogni programma di prevenzione o trattamento. Un adeguato intake di calcio, importante in ogni fase della vita, rappresenta però un fattore determinante in alcuni periodi in particolare, come nell’adolescenza per il raggiungimento del picco di massa ossea, nella donna durante l’allattamento e, appunto, nella donna in menopausa.

1-5 anni 800
6-10 anni 800-1200
11-24 anni 1200-1500
25-50 anni 1000
In gravidanza o allattamento 1200-1500
Donne in post-menopausa in trattamento estrogenico // Uomini di 50-65 anni 1000
Donne in post-menopausa senza trattamento estrogenico // Uomini di età superiore ai 65 anni 1500

Tabella 3 — Fabbisogno di calcio mg/die.

La vitamina D gioca un ruolo importante nell’assorbimento intestinale di calcio. La quantità di vitamina D, che viene sintetizzata nella pelle a seguito della diretta esposizione alla luce solare, dipende dal tempo di esposizione, dalla stagione, dalla latitudine e dalla pigmentazione della cute. Di solito 10-15 minuti di esposizione a livello di mani e braccia, per 2 o 3 volte alla settimana, è sufficiente per soddisfare il fabbisogno di vitamina D. Con l’invecchiamento, oltre alla riduzione del tempo di esposizione al sole, si ha la riduzione pure della capacità di sintesi di vitamina D da parte della cute. Pertanto la supplementazione di vitamina D è efficace negli anziani anche in prevenzione primaria.

Un adeguato apporto proteico è necessario per mantenere la funzione del sistema muscolo-scheletrico, ma anche per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica.

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’osteoporosi dev’essere finalizzato alla riduzione del rischio di frattura. I provvedimenti non-farmacologici (dieta, attività fisica) o l’eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, igiene di vita) devono essere raccomandati a tutti. Al contrario, l’utilizzo di farmaci specifici è condizionato dalla valutazione del rapporto rischio/beneficio. Questo rapporto può essere facilmente dedotto per grandi gruppi omogenei di persone che hanno partecipato a trial clinici; il problema risulta più complesso per il singolo individuo, per cui sinora si è fatto ricorso a compromessi e semplificazioni ritenuti ragionevoli. I valori del T-score della BMD sono stati utilizzati dalla OMS per stabilire soglie diagnostiche (presenza di osteoporosi per T-score < - 2.5) e ampiamente impiegati anche come soglia d’intervento farmacologico. Ma l’utilizzo della soglia diagnostica ai fini dell’identificazione della soglia d’intervento non appare accettabile, in quanto il rischio di frattura, espresso esclusivamente dal dato densitometrico, ignora altri importanti fattori che concorrono a determinare il rischio fratturativo, come l’età, la terapia cortisonica, il fumo, la magrezza ecc., chiamati in generale “fattori di rischio clinici”. Fattori di rischio come una precedente frattura osteoporotica o la terapia cortisonica cronica (> 5 mg/die prednisone equivalente) sono associati a un rischio di frattura così elevato che la decisione di avviare una terapia farmacologica può prescindere dai valori densitometrici. Tale concetto è sempre stato recepito dalla Nota AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) 79 sino al 2006, che, infatti, non prevedeva l’acquisizione del dato densitometrico. La quantificazione del rischio, e quindi della soglia d’intervento farmacologico, fornisce un dato “istantaneo” che dev’essere ri-stimato in termini di life-time risk, o, più convenientemente, in 10-Year Fracture Risk (10YFR). Questo calcolo è reso complesso dalla necessità di tener conto dell’attesa di vita e del peggioramento dei fattori di rischio (sia BMD sia fattori di rischio clinico), che in gran parte dei casi tenderanno a comparire o ad aggravarsi nei successivi 10 anni. In una pubblicazione dell’OMS (Kanis 2008) sono state riportate numerose tabelle in cui viene correlato il rischio di frattura (per siti multipli o per il femore) a 10 anni con età, BMI (peso kg/m2), T-score al collo femorale e altri fattori di rischio clinici più comuni. Elaborando questi dati, è stato sviluppato un algoritmo predittivo di libero utilizzo via Internet, denominato “FRAX”.

Numerosi sono i farmaci che possono essere impiegati per il trattamento dell’osteoporosi.

Bisfosfonati. I bisfosfonati registrati attualmente in Europa per il trattamento dell’osteoporosi sono: etidronato, clodronato, alendronato, risedronato, ibandronato e zoledronato, alcuni dei quali somministrabili per os, altri per via iniettiva. Alcuni bisfosfonati, quando assunti per os, possono causare erosioni esofagee; la disponibilità di formulazioni a dosaggio settimanale o mensile ha ridotto drasticamente l’incidenza di questi effetti collaterali. Il risedronato e l’alendronato possono essere impiegati anche nell’osteoporosi cortisonica e in quella maschile. La terapia con bisfosfonati per malattie maligne a dosi molto superiori a quelle utilizzate per la terapia dell’osteoporosi si associa a un aumentato rischio (sino all’1%) di sviluppo di una sindrome definita “osteonecrosi delle ossa del cavo orale”. Tale effetto collaterale si verifica assai più di rado in pazienti in trattamento per l’osteoporosi con un rischio aumentato in concomitanza a interventi sul cavo orale con esposizione del tessuto osseo. Una regolare igiene orale è un’efficace e sufficiente misura di prevenzione dell’osteonecrosi; tuttavia, qualora si rendesse necessario un intervento odontoiatrico invasivo, va consigliato l’utilizzo di antisettici locali e di antibiotici nei giorni precedenti all’intervento e nei 5-6 giorni successivi. Una breve sospensione (ad esempio, 2 settimane prima e 2 dopo l’intervento) è, oltre che non necessaria, ininfluente sull’esito della terapia per l’osteoporosi. In pazienti in trattamento da anni con bisfosfonati è stata segnalata la comparsa di fratture atipiche (trasversali) sub-trocanteriche femorali. L’incidenza è molto bassa, ma chiaramente collegata alla durata della terapia.

Denosumab. Si tratta di un nuovo farmaco “biologico” contro l’osteoporosi, disponibile anche in Italia dal 2011, approvato per il trattamento dell’osteoporosi in donne post-menopausali ad aumentato rischio di fratture e negli uomini in terapia ormonale per cancro della prostata con aumentato rischio di fratture (è prescrivibile in “classe A” con un piano terapeutico). In casi alquanto rari, è stata segnalata anche col denosumab l’osteonecrosi delle ossa del cavo orale.

Paratormone. La somministrazione sotto-cute di ormone paratiroideo stimola l’attività osteoblastica con un effetto anabolizzante sull’osso. Per la terapia dell’osteoporosi post-menopausale grave sono stati registrati 2 farmaci: il frammento 1-34 (teriparatide) e la molecola intatta 1-84. Teriparatide è indicato anche per l’osteoporosi cortisonica. Per il loro elevato costo, queste terapie sono riservate ai pazienti a più elevato rischio o “non-responsivi” ai farmaci antiriassorbitivi. Secondo scheda tecnica il trattamento con entrambi i farmaci non deve superare i 24 mesi e non può essere ripetuto nell’arco della vita.

Ranelato di stronzio. La componente attiva del farmaco è rappresentata dallo stronzio, che si assorbe in maniera labile ai cristalli d’idrossiapatite dell’osso. Il ranelato di stronzio dopo una fase di revisione, nel febbraio 2014 è stato riammesso alla prescrizione per il trattamento dell’osteoporosi severa nelle donne in post-menopausa e negli uomini adulti, ad alto rischio di frattura, per i quali il trattamento con altri farmaci anti-osteoporosi non è possibile. Deve invece considerarsi controindicato nei pazienti con storia di eventi tromboembolici venosi, cardiopatia ischemica, arteriopatia periferica, malattia cerebrovascolare, ipertensione non controllata, immobilizzazione temporanea o permanente, insufficienza renale grave.

Terapia ormonale sostitutiva. Lo studio WHI (Women Health Initiative) ha dimostrato che la terapia con estrogeni coniugati riduce il rischio di ogni tipo di frattura osteoporotica, ma per l’aumentato rischio di carcinoma della mammella, ictus, cardiopatia ischemica ed eventi trombo-embolici non ha più l’indicazione per la terapia o la prevenzione dell’osteoporosi. Per donne con sindrome climaterica, soprattutto se ancora entro i 50-55 anni di età, la somministrazione temporanea (1-3 anni) di estrogeni o di estro-progestinici può essere considerata in qualche modo fisiologica e quindi ancora proponibile, anche per la prevenzione dell’osteoporosi.

SERM. La sigla “SERM”, Selective Estrogen Receptor Modulators, sta a indicare la selettività di azione di tali farmaci: essi svolgono infatti un’azione simile a quella degli estrogeni su osso, fegato e apparato cardiovascolare, mentre agiscono da antagonisti degli estrogeni su mammella e utero; i SERM incrementano pertanto la massa ossea e riducono il rischio di frattura senza stimolare utero e mammella, riducendo l’incidenza di carcinoma mammario nelle pazienti trattate. In commercio sono disponibili 3 SERM: il tamoxifene, il raloxifene e il bazedoxifene.

Altri farmaci. Hanno documentazioni dirette o indirette di efficacia sulla massa ossea vari altri farmaci: calcitonina (sia parenterale che per spray nasale), ipriflavone, fluoruri, diuretici tiazidici. Nessuno di questi farmaci è oggi registrato-rimborsato in Italia per il trattamento dell’osteoporosi.