Parte prima
3. Le metodiche di riabilitazione utili al malato reumatico

3.d La medicina manuale nella riabilitazione reumatologica

Indice dell'articolo

Le tecniche di medicina manuale rappresentano un ottimo compendio nella riabilitazione delle reumoartropatie e s’integrano perfettamente con altre metodiche riabilitative, con le quali contribuiscono a ottenere un recupero funzionale più completo e soddisfacente.

La corretta diagnosi organica e funzionale è la condizione necessaria affinché la medicina manuale possa integrarsi col trattamento farmacologico e con le altre tecniche riabilitative. Esempio: un difetto di carico a livello vertebrale, che nasconde un meccanismo d’instabilità, dopo la correzione manuale dovrà necessariamente essere stabilizzato con fisiochinesiterapia per poter ottenere una corretta stabilità dinamica della struttura.

Inoltre una buona conoscenza della biomeccanica statica e dinamica dell’intero corpo umano è fondamentale per la corretta impostazione e sequenza del lavoro da svolgere al fine di ottenere un risultato stabile.

Pertanto, dopo la diagnosi del tipo di patologia reumatica del paziente, è fondamentale la valutazione funzionale delle strutture interessate. A tale scopo viene fatta una valutazione statica delle articolazioni interessate, prendendo visione della funzionalità articolare nel corretto posizionamento dell’articolazione stessa e dell’eventuale compromissione; viene inoltre valutato l’interessamento dei tessuti molli con le eventuali ipotrofie e atrofie delle strutture muscolari.

L’esame delle articolazioni dev’essere preceduto da un colloquio che permetta di conoscere la storia e lo stato attuale del paziente anche dal punto di vista generale. Si consiglia di lasciar raccontare a quest’ultimo la sua storia, ponendo domande che aiutino a comprendere il problema e le sue aspettative. In particolare per i pazienti che presentano un problema cronico è utile annotare l’orario in cui il dolore si presenta, per differenziare il dolore di tipo meccanico, calmato dal riposo, il dolore di tipo infiammatorio mattutino, ridotto dalla ripresa del movimento, e il dolore di tipo tumorale notturno, che si attenua se il soggetto si alza. La successiva richiesta di esami radiologici e complementari, necessari in base ai dati clinici ottenuti, confermerà le anomalie sospettate.

VALUTAZIONE

Il rachide

Innanzitutto è necessario effettuare con attenzione l’esame vertebrale segmento per segmento alla ricerca di strutture algogene; conseguentemente l’esame neurologico evidenzia la presenza di segni obiettivi di sofferenze radicolari.

Esame statico segmentario. Si sollecita con manovre precise ogni segmento vertebrale, mettendo in evidenza le zone responsabili del dolore.

Nell’esame statico vengono valutati i punti di carico vertebrali in piedi e da seduti, prendendo nota dell’alterato appoggio delle strutture articolari vertebrali l’una sull’altra e sul bacino.

Fondamentale è anche la valutazione dei carichi articolari in ortostatismo degli arti inferiori, valutando il corretto appoggio del piede, dei condili femorali sul piatto tibiale e del bacino sulle anche, nonché del posizionamento dei cingoli scapolo-omerale e lombo-pelvico.

Esame dinamico. Il paziente è in piedi, la schiena è rivolta verso il medico: in questa posizione si valuta la flessione del tronco a gambe rigide.

La flessione in avanti deve avvenire lentamente, in modo da poter valutare, oltre a una maggiore o minore rigidità del segmento cervico-dorso-lombare, pure i movimenti vertebrali di traslazione laterale che evidenzino eventuali anomalie atte a provocare la comparsa del dolore.

La stessa valutazione dinamica viene effettuata per mettere in evidenza eventuali asinergie di movimento dei vari metameri vertebrali nella rotazione del tronco in flessione destra e sinistra. Il movimento in laterale completa questa prima parte dell’esame e serve per ricercare eventuali blocchi articolari.

In seguito è valutata la deambulazione del paziente, sia posteriormente che anteriormente.

La valutazione posteriore permette di esaminare, in una prima sommaria visione, gli arti inferiori, il bacino, le anche e la colonna vertebrale per valutare gli squilibri che si creano sulla struttura vertebrale stessa. Lo stesso percorso in senso inverso viene fatto per vedere se eventuali anomalie di posizione a livello vertebrale o perdite di funzionalità vanno a incidere sul carico degli arti inferiori.

Tale valutazione consente inoltre di quantificare il dolore che il paziente presenta durante la deambulazione e quanto esso incida sull’atteggiamento di protezione sulla struttura stessa.

L’esame viene completato con la valutazione della deambulazione vista dal davanti, soprattutto per evidenziare i meccanismi di compensazione che s’instaurano sui difetti della struttura.

Per completare la valutazione vertebrale possiamo eseguire l’esame segmentario codificato da Robert Maigne, che ha lo scopo di ricercare il dolore di un segmento vertebrale preciso ed è indispensabile per stabilire se un’unità funzionale vertebrale è dolorosa a manovre indolori su altri segmenti.

Il paziente viene posizionato a ventre piatto di traverso rispetto al lettino d’esame per valutare il rachide lombare e dorsale, sul dorso per il rachide cervicale e seduto per il rachide dorsale superiore.

Le manovre previste sono 3: pressione assiale e laterale destra e sinistra sul processo spinoso, pressione sui massicci articolari posteriori destro e sinistro, pressioni sui legamenti interspinosi.

Bisogna evitare che pressioni eccessive o maldestre provochino dolore anche in zone non patologiche e soprattutto che pressioni insufficienti o applicate non correttamente manchino di rilevare la reale sensibilità del segmento. Per tale motivo le manovre devono essere eseguite con una pressione ben dosata che tende a crescere gradualmente e ripetuta più volte.

Anomalie di funzionalità a livello vertebrale possono simulare coxalgia. In tali casi il dolore è localizzato sul tensore della fascia lata, sul gluteo e talora a livello inguinale; la funzionalità dell’anca è normale. È un quadro che evoca una periartrite dell’anca, ma le terapie infiltrative danno un sollievo molto limitato nel tempo.

Questo tipo di coxalgia può essere dovuto a tendinalgia del medio gluteo o del piriforme, a cellulalgia con sofferenza del territorio del ramo laterale perforante proveniente dal nervo ilio-ipogastrico (L1) o dal nervo sottocostale (T12) o da una sindrome canalicolare riguardante questi rami cutanei dove incrociano la cresta iliaca.

Il ginocchio

Lo scopo fondamentale della medicina manuale nelle reumopatie del ginocchio è permettere un recupero funzionale accettabile compatibilmente col danno stesso.

L’interposizione di quadri di artrite o artrosi del ginocchio viene a creare una destabilizzazione articolare, generando dei conflitti tali da impedire la normale deambulazione. Durante una flogosi acuta non è effettuabile il trattamento manuale. Il danno cronico crea destabilizzazione dell’articolazione, facilmente valutabile ispezionando l’appoggio articolare sul carico. Possiamo notare di frequente che la tibia tende a ruotare dall’interno verso l’esterno e a esteriorizzarsi rispetto all’appoggio dei condili femorali. Tale situazione sta a indicare prevalentemente un danno presente a livello cartilagineo e meniscale nonché una sofferenza dei legamenti del crociato anteriore e posteriore, del collaterale tibiale e del collaterale fiburale. Da una situazione di questo tipo automaticamente s’instaura la perdita di funzionalità dell’articolazione tibio-tarsica del piede sia nella dorso-flessione che nella prono-supinazione, la quale, durante la deambulazione, accentua il difetto funzionale e strutturale dell’articolazione del ginocchio. Meccanismi consequenziali a tale problematica sono un blocco funzionale patellare, condromalacia e lussazione rotulea.

Questa situazione produce, in un quadro di artrosi, flogosi ripetute, con versamenti articolari che destabilizzano ulteriormente l’articolazione e peggiorano la deambulazione.

Il piede

Il piede è la struttura scheletrica più complessa, insieme alla colonna vertebrale, per il suo ruolo statico, dinamico e di equilibrio dell’intero sistema locomotore.

Nella valutazione delle principali manifestazioni di disfunzione dell’articolazione del piede esaminiamo anzitutto la statica del piede sotto carico, che può mettere in evidenza un’eccessiva prono-supinazione con cedimento della volta longitudinale e delle teste metatarsali.

I danni più frequenti del piede nelle patologie reumatiche sono localizzati nell’articolazione cuneo-navicolare, nella prima e seconda articolazione cuneo-metatarsale e nell’articolazione astragalo-calcaneare con sofferenza del legamento interosseo, del flessorio accessorio e del flessore breve della dita. Tali lesioni portano a un cambiamento dell’angolo di carico dell’articolazione, con riadattamento del secondo, terzo, quarto metatarso e conseguente cedimento della volta trasversa e successiva chiusura delle teste metatarsali. Durante il passo, il massimo carico si sviluppa nell’appoggio del piede sul calcagno e sull’astragalo, per poi essere modulato dalle ossa metatarsali e dall’articolazione metatarso-falangea. In questa fase le teste metatarsali tendono ad aprirsi, allontanandosi l’una dall’altra, aumentando la tensione dei muscoli interossei e della fascia plantare. Le dita hanno la funzione di pilotare il carico della struttura, mentre la corretta funzionalità dell’articolazione tarso-metatarsale permette la distribuzione dell’equilibrio delle forze sull’astragalo e sull’articolazione calcaneo-cuboidea. Quanto più è valida la funzionalità di tali strutture, tanto più gli equilibri di carico dell’intero corpo umano saranno adeguatamente stabili e corretti.

La spalla

Nella patologia della spalla ricordiamo la classificazione di S. de Sèze:

  1. spalla dolorosa semplice dovuta a tendinite del sovraspinato;
  2. spalla congelata da capsulite retrattile;
  3. spalla acuta e iperalgica, evoluzione di tendinite calcificante;
  4. spalla pseudo-paralitica dovuta a rottura della cuffia dei rotatori.

Successivamente Neer ha descritto la sindrome da impingement (o conflitto) dovuta alla compressione delle parti molli tra la grossa tuberosità dell’omero e la parte inferiore dell’acromion e del legamento acromio-coracoideo.

La sindrome è caratterizzata da 3 stadi:

- stadio 1: edema, emorragia e tendinite acuta causati da un eccesso di sforzi. In genere ne sono interessati i soggetti giovani;
- stadio 2: tendinite e fibrosi. Colpiti soggetti di meno di 40 anni che sovraccaricano continuativamente la spalla;
- stadio 3: rotture tendinee della cuffia dei rotatori, in genere propria di soggetti di età superiore a 40 anni. La struttura più interessata è il sovraspinato.

Molte forme possono essere asintomatiche.

Valutazione della spalla. L’esame clinico della spalla comprende:

  • lo studio dei movimenti attivi;
  • lo studio dei movimenti passivi;
  • lo studio dei movimenti contro-resistenza;
  • la palpazione dei piani cutanei, dei tendini e dei muscoli;
  • lo studio della mobilità della scapola;
  • lo studio dell’articolazione gleno-omerale per la valutazione delle lesioni del cercine glenoideo.

I movimenti eseguiti dalla spalla sono: elevazione del braccio anteriore, laterale, verticale, adduzione più rotazione interna, adduzione più rotazione esterna.

I movimenti passivi sono gli stessi, portati alla loro massima escursione dal medico.

Il movimento contro resistenza provoca dolore acuto del tendine leso.

Per il buon funzionamento della spalla è necessaria la complessa azione combinata dei numerosi muscoli, alcuni dei quali sono stabilizzatori, altri mobilizzatori.

La funzione dei muscoli della spalla è schematizzata nella Tab. 1.

Abduzione

Deltoide (C5, C6)
Sovraspinato (C5, C6)

Adduzione

Grande rotondo (C5, C6)
Grande dorsale (C6, C7, C8)
Grande pettorale (da C5 a T1)

Rotazione esterna

Sottospinato (C5, C6)
Piccolo rotondo (C5, C6)

Rotazione interna

Sottoscapolare (C5, C6, C7)

Accessoriamente

Grande rotondo
Grande dorsale
Grande pettorale

Antepulsione

Fascio anteriore del deltoide
Fascio clavicolare del grande pettorale
Coracobrachiale (C6)

Retropulsione

Fascio posteriore del deltoide
Grande rotondo

Tabella 1 — Funzione dei muscoli della spalla.

Sovraspinato. La valutazione del sovraspinato contro-resistenza viene effettuata con il braccio in leggera abduzione (ca. 30°) appena in avanti, contrastando l’abduzione del braccio in vicinanza del polso.

Sottospinato. Prima manovra: il braccio è appoggiato al corpo in leggera rotazione verso l’interno, il gomito è posizionato ad angolo retto; viene contrastata la rotazione esterna.
Seconda manovra: il braccio è posizionato orizzontalmente, l’avambraccio è verticale (ca. 90°); viene contrastata la rotazione esterna appoggiandosi al polso.

Sottoscapolare. Il braccio è adeso al corpo, l’avambraccio ad angolo retto; il paziente cerca di avvicinare la mano alla parete addominale mentre l’operatore oppone resistenza.

Bicipite. La palpazione diretta del bicipite fornisce le migliori informazioni.

Le altre strutture muscolari — grande pettorale, grande dorsale e grande rotondo — sono esaminate tramite l’adduzione contrastata.

Techniche di correzione in medicina manuale

Sono qui descritte alcune tecniche di trattamento delle situazioni reumatologiche, di non comune utilizzazione nella medicina manuale.

Per le tecniche manuali classiche più note rimandiamo agli specifici riferimenti bibliografici.

Il rachide

Le indicazioni più frequenti sono l’artrosi del rachide e la spondilite anchilopoietica.

L’artrosi del rachide incide, oltre che sulla funzionalità del rachide, anche sull’assestamento dei vari elementi vertebrali l’uno sull’altro. Quindi troviamo zone strutturalmente rigide con corretto allineamento vertebrale alternate a zone con maggiore mobilità ma con rapporti di movimento dei singoli segmenti vertebrali destabilizzati.

La prima fase del lavoro interviene sulle zone più rigide tramite blandi movimenti di mobilizzazione articolare eseguiti posizionando il paziente prono e agendo manualmente sui processi trasversi vertebrali con pressione delicata, trazionando la colonna verso l’alto.

La mobilizzazione è ripetuta più volte fino a quando il segmento rigido nella flesso-estensione non riprende un minimo di elasticità e torna a muoversi in accordo coi segmenti sovra- e sottostanti della colonna.

Quando otteniamo una mobilità sufficiente in flesso-estensione, passiamo a correggere la posizione vertebrale dei segmenti più mobili sovra- e sottostanti alla zona di rigidità.

In genere la compensazione della dinamica della struttura scheletrica destabilizza la parte più mobile. In questa situazione troviamo elementi vertebrali che non sono correttamente allineati l’uno rispetto all’altro; dobbiamo quindi lavorare sui singoli elementi vertebrali agganciando la mano sinistra sul primo elemento vertebrale legato al segmento rigido e andando a lavorare in leggera rotazione sull’elemento sottostante, ancorandosi al processo spinoso e utilizzando i processi trasversi. Allo stesso tempo, per facilitare le correzioni vertebrali, è importante decontrarre, se necessario, i muscoli paravertebrali, cioè l’ileocostale, gli spinali e l’inferiore lunghissimo del dorso.

Tale manovra è ripetuta per tutte le strutture che vengono a creare uno squilibrio statico-dinamico dell’insieme della colonna vertebrale.

Fondamentale diventa il corretto rapporto del cingolo scapolo-omerale col lombo-pelvico.

Per ottenere un giusto equilibrio è necessario che le strutture che formano il cingolo scapolo-omerale abbiano una buona posizione e funzionalità sia articolare che muscolare.

Il recupero di una buona funzionalità vertebrale cambia in genere i rapporti di tensione tra la parte superiore e la parte lombo-pelvica. In questo caso vanno decontratte, ove necessario, le strutture della spalla destra o sinistra che presentano un’eccessiva antero-rotazione o inclinazione, in modo che possano avere una buona tenuta sulla parte sottostante.

Nel caso del bacino, l’evento che si modifica più frequentemente dopo la correzione vertebrale è un’antero-rotazione o retro-posizione con risalita dell’ala iliaca destra o sinistra e conseguente limitazione della flesso-estensione. Si valuta posizionando il paziente in flessione a braccia allungate, ricercando il punto di massima tensione dei legamenti lombo-sacrali destro e sinistro nonché la risalita dell’ala iliaca corrispondente.

A questo punto andiamo a riequilibrare gradualmente l’ala iliaca interessata, agendo, sempre in flessione, sul legamento con la pressione e la partecipazione attiva del paziente nel forzare la flessione. Automaticamente aumenta subito l’escursione di tutta la colonna vertebrale fino a che il paziente non riesce a toccarsi i piedi con le punte delle dita. Adesso il recupero funzionale è completo.

Il ginocchio

Abbiamo visto come una patologia cronica possa alterare l’articolazione del ginocchio; vediamo ora in che modo correggere il danno funzionale che si è generato.

Il piatto tibiale può essere in intra- o extra-rotazione col corrispettivo appoggio del piede, variato a causa dell’anomalia di funzionamento che si genera a livello dell’articolazione tibio-tarsica in pronazione o supinazione; tale situazione è responsabile di grossi problemi nella deambulazione.

Dobbiamo inoltre considerare che al momento in cui si genera un’anomalia d’appoggio dell’articolazione del ginocchio, automaticamente subentra un’iperpressione rotulea che blocca il meccanismo di flesso-estensione, con possibilità di sublussazione patellare.

Dobbiamo afferrare (nel caso si tratti del ginocchio destro), a paziente supino, con la mano sinistra i condili femorali e con la destra quelli tibiali, mettendo in trazione l’articolazione e imprimendo un’intra- o un’extra-rotazione secondo l’angolo che vogliamo correggere. Mentre eseguiamo questa manovra, per facilitare la correzione del piatto tibiale e la flesso-estensione, bisogna allentare il tensore della fascia lata, il capo laterale del gastrocnemio, il bicipite femorale, il sartorio, il semi-tendinoso e il semi-membranoso.

Infine è importante la mobilizzazione passiva della rotula in modo da ridurre l’iperpressione rotulea stessa.

Raggiunta la sufficiente correzione articolare, diventa fondamentale ripristinare un’articolarità tibio-tarsica corretta perché cambiano i rapporti funzionali fra tibia, astragalo, perone, articolazione sotto-astragalica e calcagno. Il meccanismo più comune è la perdita di funzione della prono-supinazione, con conseguente blocco articolare tra perone, astragalo e tibia, che limita il posizionamento del piede sia statico che dinamico, con riduzione della flesso-estensione e sovraccarico del quinto metatarso.

La tecnica di lavoro è la seguente: nel caso del piede destro è importante agganciare il calcagno con la mano sinistra all’altezza della testa del perone, trazionandolo delicatamente. Mantenendo la trazione, viene mobilizzato l’avampiede in flesso-estensione in modo che possa riprendere correttamente l’elasticità nella prono-supinazione. Infine, mantenendo sempre la trazione sul calcagno, bisogna decontrarre il tibiale anteriore e l’estensore lungo delle dita.

Il piede

Nell’artrosi del piede l’alterazione anatomo-funzionale che si riscontra più frequentemente è a livello delle articolazioni tibio-tarsica, sottoastragalica, cuneo-navicolare e tarso-metatarsali.

A tali livelli avviene più frequentemente un cambiamento della funzionalità e dell’angolo di carico articolare, con conseguente variazione delle volte longitudinale e trasversa del piede. Le strutture più interessate sono l’astragalo e le teste metatarsali.

Articolazione subastragalica. La perdita di funzionalità dell’articolazione subastragalica porta il calcagno in rotazione esterna o interna anteriorizzando l’avampiede.

Per la ripresa funzionale e la correzione articolare blocchiamo il calcagno con una mano mantenendolo in trazione, mentre con l’altra lavoriamo a livello articolare, dapprima mobilizzando l’articolazione stessa, poi correggendo con la pressione il punto di carico laterale interno o esterno dell’articolazione. In contemporanea mobilizziamo la parte tibiale dell’articolazione della caviglia in modo che l’appoggio della tibia si adatti correttamente all’astragalo. Importante è correggere in allungamento il tricipite della sura e il tibiale anteriore.

Articolazione cuneo-navicolare. L’interessamento di questa articolazione comporta un cedimento della volta longitudinale, con aumento della tensione della fascia plantare.

Per correggere e ripristinare la funzionalità di tale articolazione è necessario utilizzare il primo dito in pressione dal basso verso l’alto sul punto articolare, mobilizzando e correggendo l’angolo di carico del cuneiforme e delle ossa metatarsali.

Articolazioni tarso-metatarsali. In relazione alla distribuzione del carico statico e dinamico sul piede, possiamo avere un cambiamento di funzionalità dei punti di lavoro dell’articolazione cuneo-metatarsale, con variazione dell’angolo di appoggio e della funzionalità stessa. Ciò comporta una maggiore o minore apertura delle ossa metatarsali con le teste metatarsali che entrano in conflitto l’una con l’altra variando la loro posizione sul piano sagittale (cedimento della volta trasversa) che incide sulla grift digitale cambiando la dinamica del passo.

Nella correzione manuale agganciamo con le prime due dita di una mano l’articolazione tarso-metatarsale e con l’altra mano mobilizziamo dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra l’articolazione stessa. Ripetiamo la manovra per i cinque metatarsi, in modo tale che la volta longitudinale riacquisisca una conformazione leggermente ellittica. Nello stesso tempo, l’altra mano tenderà a distanziare tra di loro quelle teste metatarsali che sono in chiusura e disassate l’una rispetto all’altra, riposizionando il piano di appoggio articolare della volta trasversa.

In questo modo possiamo ottenere durante il passo una riapertura della fascia plantare delle dita e un facile adattamento dell’appoggio della tibia sull’astragalo, correggendo il cedimento della volta trasversa.

La spalla

Le articolazioni più frequentemente interessate della spalla, sulle quali si può intervenire manualmente, sono: 1) la gleno-omerale; 2) la scapolo-omerale; 3) l’acromio-clavicolare; 4) la sterno-clavicolare.

  1. Articolazione gleno-omerale. “Manovra del pilone”: al paziente posizionato lateralmente sul lettino trazioniamo in alto il braccio interessato, mobilizzando l’articolazione in tutte le direzioni, cercando soprattutto di decontrarre il piccolo rotondo, il deltoide e il capolungo del tricipite. Seconda manovra di separazione testa-glenoide: si pone una mano sotto l’ascella del paziente e con l’altra mano si esercitano pressioni sulla fascia esterna della parte inferiore del braccio agendo come una leva. In tal modo possiamo ottenere uno stiramento laterale dell’articolazione e una sufficiente separazione testa-glenoide.
  2. Articolazione scapolo-omerale. Si posiziona il paziente in decubito laterale, e con le dita delle mani agganciamo i muscoli fissatori della scapola per mobilizzare la scapola in avanti e indietro e dal basso verso l’alto. Tale manovra è molto utile nella capsulite retrattile e nell’artrosi.
  3. Articolazione acromio-claveare. Assai utile la tecnica di Lesage: il soggetto è seduto su uno sgabello, con la mano della spalla interessata, posata sull’anca. L’operatore, in piedi dietro il paziente, appoggiando un fianco contro la regione lombare del soggetto, posiziona il braccio sinistro (in caso di spalla destra) sulla clavicola destra, mentre la mano destra afferra anteriormente la spalla destra. La manovra viene eseguita con un movimento del gomito che avvicina il braccio al corpo dell’operatore.
  4. Articolazione sterno-claveare. Il paziente è supino, l’operatore prende con una mano il braccio del paziente trazionandolo in abduzione e verso l’alto, mentre con l’altra mano esercita una pressione sulla parte interna della clavicola.

Concludendo, possiamo dire che le metodiche più utili della medicina manuale in reumatologia riguardano le grosse articolazioni e la colonna vertebrale. Correttamente applicate, possono dare ai pazienti reumatologici notevole riduzione del dolore e buon recupero funzionale.