Parte seconda
10. Le sindromi dolorose distrettuali

10.b La spalla dolorosa: approccio multidisciplinare

Indice dell'articolo

Il dolore alla spalla è uno dei sintomi più comuni per cui il paziente si rivolge al medico. Può generarsi direttamente dalle strutture della spalla o essere un dolore riferito da un’altra regione anatomica; pertanto per “spalla dolorosa”, al pari del “low back pain”, s’intende un insieme di patologie che presentano manifestazioni cliniche simili e hanno come sintomo principale il dolore.

Dato che possono essere coinvolte tutte le strutture anatomiche che compongono la spalla, è necessaria un’attenta valutazione clinica volta a localizzare la causa del dolore (pain generator),che guiderà il processo diagnostico e la corretta strategia terapeutica, tenendo presente che di frequente i quadri descritti possono coesistere.

Le patologie infiammatorie (artrite reumatoide, spondiloartriti) e l’osteoartrosi sono trattate in altri capitoli.

Le principali patologie incluse nella sindrome della spalla dolorosa sono:

- Impingement della cuffia dei rotatori.
- Rottura completa o parziale della cuffia dei rotatori.
- Tendinite e rottura completa o parziale dei tendini prossimali del bicipite omerale.
- Capsulite adesiva (frozen shoulder).
- Neuropatia sovrascapolare.
- Paralisi del nervo toracico lungo.
- Plessopatia brachiale.
- Sindrome dello sbocco toracico superiore.
- Osteonecrosi.

Impigement della cuffia dei rotatori

La sindrome da impingement dei rotatori è la causa più frequente di dolore di spalla ed è generalmente sostenuta dalla tendinite dei tendini rotatori e, solo in alcuni casi e in condizioni di cronicità del processo infiammatorio, dalla borsite subacromiale. Tale condizione può essere acuta o cronica e si può associare alla formazione di depositi di calcio intratendinei. In questi casi non è infrequente riscontrare una borsite subacromiale scatenata dalla parziale rottura di tali depositi nella borsa.

Il sintomo predominante è il dolore, che compare in corso di abduzione attiva tra i 60 e i 120°, si accentua contro-resistenza e, a volte, è accompagnato da dolore durante il ritorno alla posizione di riposo. Nei casi cronici, il sintomo più comunemente riportato è l’indolenzimento di spalla localizzato sul deltoide laterale, che si accentua col movimento prevalentemente di abduzione e intrarotazione. Altri sintomi caratteristici riportati sono la difficoltà nel vestirsi o nell’igiene della testa (lavarsi i capelli o farsi la barba) e il dolore notturno, dovuto alla difficoltà di trovare una posizione antalgica. Altri segni caratteristici sono il dolore alla palpazione e la riduzione del movimento.

Le cause d’impingement di spalla sono molteplici e multifattoriali e includono difetti posturali, anomalie scheletriche e attività sportive o lavorative ripetitive (overuse). Oltre a ciò va tenuto presente che esistono concause fisiologiche legate all’età, quali la ridotta vascolarizzazione, la degenerazione con perdita di elasticità delle strutture tendinee e l’ipotonia-ipotrofia dei muscoli della cuffia e dei muscoli stabilizzatori di spalla.

La compressione dei rotatori avviene in genere tra la superficie inferiore dell’acromion, il legamento coraco-acromiale e quello coraco-omerale e la testa omerale. L’osteoartrosi con la presenza di osteofiti e le anomalie conformazionali dell’acromion contribuisce a sviluppare questa condizione.

Il trattamento prevede una breve fase iniziale di riposo, dove il trattamento medico farmacologico sia sistemico che locale è di primaria importanza, a cui farà seguito l’intervento riabilitativo mirato, da iniziare non appena tollerato. È quindi fondamentale il lavoro di équipe tra medico specialista, radiologo e fisioterapista nel programmare il corretto work-up diagnostico-terapeutico rispettando una tempistica d’intervento che sia efficace e ben tollerata dal paziente. I depositi calcifici intratendinei, specie in fase acuta, possono risolversi in modo spontaneo o ridursi di dimensioni se il trattamento viene iniziato precocemente.

Nei casi cronici o in quelli acuti da varianti anatomiche non suscettibili al trattamento medico, va tenuta in considerazione l’opzione di correzione chirurgica, alla quale dovranno comunque far seguito l’intervento riabilitativo e l’educazione del paziente.

Programma riabilitativo

Il programma riabilitativo è efficace nella riduzione del dolore e nel ritorno alla normale attività lavorativa. La durata del trattamento riabilitativo viene considerata fra le 3 settimane e i 3 mesi, a seconda dei sintomi oggettivi del paziente mostrati prima dell’inizio del trattamento. I soggetti che iniziano con anticipo il trattamento riabilitativo riescono di solito a ottenere risultati in tempi molti ristretti, mentre i pazienti con patologia cronica hanno tempi assai più lunghi, dai 3 ai 6 mesi. Generalmente i pazienti che entro 6 mesi di trattamento non ottengono alcun risultato sono indirizzati dal chirurgo.

Il fisioterapista esperto strutturerà un programma riabilitativo tenendo conto dei seguenti punti cardine:

  • fase acuta o fase cronica;
  • caratteristiche della struttura e della patologia;
  • correzione dei fattori strutturali e di rischio sia intrinseci che estrinseci;
  • tipologia di lavoro muscolare.

Il programma riabilitativo può essere schematicamente riassunto in 3 diverse fasi:

  • fase acuta;
  • fase di cronicizzazione;
  • fase di rimodellamento.

Fase acuta. La fase acuta è la fase iniziale, compresa tra la prima e la seconda settimana dall’esordio del dolore.

Obiettivi
- Diminuire il dolore e ridurre l’edema (se presente);
- ridurre o evitare ulteriori danni ai tessuti;
- educare il paziente (economia articolare).

Strategie terapeutiche
- Ice therapy (terapia del ghiaccio), dalle 3 alle 4 volte al giorno, per un massimo di 10-15 minuti;
- fisioterapia strumentale, laser yag, tecarterapia.

Correzione di tutti i fattori predisponenti individuati nella valutazione iniziale del paziente:
- kinesiotaping;
- tutori/ortesi;
- ripristino del ROM (Range Of Motion) articolare delle articolazioni adiacenti, se limitate;
- economia articolare.

Fase di cronicizzazione. È il periodo compreso tra la seconda e la sesta settimana.

Obiettivi
- Diminuire il dolore e ridurre l’edema (se presente);
- evitare la formazione di aderenze;
- prevenire la limitazione delle articolazioni vicine;
- prevenire l’atrofia muscolare.

Strategie terapeutiche
- Mobilizzazione passiva;
- mobilizzazione attiva;
- tecniche di terapia manuale a livello tissutale e articolare;
- manipolazione della fascia;
- apposizione di ghiaccio a fine seduta;
- utilizzo di adeguato programma di autotrattamento domiciliare.

Fase di rimodellamento. È il periodo compreso dalla sesta settimana a circa un anno.

Obiettivi
- Recuperare la funzione muscolare;
- recuperare la funzione articolare;
- favorire la guarigione tendinea: evitare la formazione di aderenze;
- reinserirsi nella normale attività quotidiana;
- prevenire le possibili recidive.

Strategie terapeutiche
- Manipolazione della fascia;
- ipertermia, che sembra avere effetti benefici sul processo di guarigione delle tendinopatie, in quanto migliora l’elasticità del tendine stesso, riduce il dolore e le contratture muscolari;
- adeguato stretching dei muscoli maggiormente accorciati;
- rinforzo muscolare, preferendo il rafforzamento eccentrico;
- rieducazione per il recupero del controllo muscolare, dato che le patologie di spalla spesso creano delle situazioni di compenso determinate da deficit propriocettivi, neuronali, cinestetici. Il recupero di tale funzione è fondamentale per l’esatta esecuzione dello schema motorio. Tutto ciò dev’essere basato su un ripristino che prevede:

  1. recupero della propriocezione e cinestesia attraverso compressione e trazione dell’articolazione e riposizionamento dell’articolazione in posizioni prestabilite;
  2. stabilizzazione statica e dinamica, stimolando il lavoro muscolare dei muscoli agonisti e antagonisti, con esercizi specifici a catena chiusa;
  3. esecuzione di esercizi pliometrici per migliorare i tempi di reazione neuro-muscolare;
  4. recupero degli schemi motori più semplici e di quelli più complessi.

Rottura completa o parziale della cuffia dei rotatori

La rottura completa o parziale della cuffia dei rotatori consegue in genere a un trauma, anche se in quasi la metà dei pazienti non è possibile ricondurre la rottura a un trauma recente, ma essa è il risultato di lesioni multiple derivanti da una condizione cronica degenerativa.

Il segno cardine della lesione completa è l’impossibilità di svolgere un certo movimento, accompagnata, nella totalità dei casi di rottura acuta, dal dolore anche a riposo. Nel caso di lesioni croniche multiple, l’esame obiettivo è spesso meno dirimente e il dolore può essere evocato dalle manovre attive contro-resistenza. In questi casi risulta pertanto necessario un approfondimento diagnostico con esami strumentali quali ecografia o RM (gold standard).

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Figura 1 — Rottura delle fibre pre-inserzionali dei muscoli sovraspinato e sottoscapolare.
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Figura 2 — Immagine RM: assottigliamento del tendine del muscolo sovraspinato in vicinanza della sua inserzione sulla grande tuberosità dell’omero, con alterazioni di segnale delle fibre, indice di una lacerazione parziale.
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Figura 3 — Immagine ecografica: rottura del tendine, visibile soltanto esaminando il paziente con la spalla portata indietro e intraruotata, in modo da stirare il tendine stesso per mettere in evidenza anche piccole lesioni delle fibre.

Le lesioni tendinee parcellari o incomplete devono essere trattate con la terapia farmacologica associata al trattamento riabilitativo, non appena ben tollerato dal paziente. Per le rotture complete dev’essere valutato l’intervento ricostruttivo chirurgico.

Programma riabilitativo

Il programma riabilitativo nel trattamento incruento deve prevedere il recupero del ROM consentito e successivamente di un buon equilibrio funzionale tra il muscolo deltoide e i muscoli componenti la cuffia dei rotatori.

È importante sottolineare che, vista la differenza di forza tra muscolo deltoide e muscoli rotatori, sarà di primaria importanza prediligere in prima istanza il rafforzamento dei muscoli rotatori e in seguito del muscolo deltoide; nel caso contrario, si potrebbe scatenare una sindrome da conflitto per la risalita della testa omerale.

Strategia terapeutica

- Esercizi di stretching dei muscoli componenti il cingolo scapolo-omerale e di tutti i muscoli capsulari posteriori;
- mobilitazione articolare sino al raggiungimento del massimo ROM consentito dalla situazione patologica;
- esercizi pendolari di Codman;
- esercizi di rinforzo dei muscoli stabilizzatori delle scapole;
- riequilibrio della muscolatura della spalla;
- ridinamizzazione della spalla-mano.

Elemento assai importante è la correzione, se e dove è possibile, degli squilibri posturali associati: sarà molto difficile riuscire a ottenere un buon recupero da una spalla in sovraccarico, in presenza del permanere di una rigidità del tratto cervicale, di una cifosi dorsale, di anteroposizione delle spalle ecc.

Tendinite e rottura completa o parziale dei tendini prossimali del bicipite omerale

Questa condizione si manifesta solitamente col dolore nella regione anteriore della spalla, che in alcuni casi può estendersi alle regioni prossimali. In genere il dolore è cronico ed è dovuto all’impingement tra l’acromion e il tendine del capo breve bipicitale. La tenosinovite del capo lungo può accompagnare il quadro d’impingement di spalla e frequentemente il tendine assume un aspetto “sfilacciato” e fibrotico. Il dolore viene scatenato dalla palpazione diretta sul solco bicipitale e tali manovre devono essere svolte sempre in maniera comparativa col controlaterale, dato che questo tendine ha una dolorabilità intrinseca. Il dolore può essere riprodotto con la supinazione contro-resistenza dell’avambraccio (segno di Yergason) e con la flessione di spalla, sempre contro-resistenza (test di Speed), o con l’estensione forzata di spalla.

Tale condizione è spessa associata all’impingement di spalla e il suo trattamento è per lo più riabilitativo, anche se l’associazione con antinfiammatori sistemici o locali (prevalente sul capo lungo del bicipite) può essere d’aiuto.

La rottura completa del capo breve avviene di solito in corrispondenza del margine superiore del canale bicipitale, mentre la rottura completa del capo lungo provoca una classica tumefazione sulla faccia laterale del braccio per la retrazione del ventre muscolare. Il trattamento frequente è conservativo, ma può essere valutata la riparazione chirurgica, specialmente nei soggetti giovani o in età lavorativa.

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Figura 4 — Immagine ecografica: rottura subtotale del tendine del capo lungo del muscolo bicipite con retrazione del capo muscolare a valle. Il tendine è ispessito, irregolare e circondato da un’abbondante falda fluida, verosimilmente ematica.
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Figura 5 — Immagine ecografica: stesso tendine in immagine trasversale. Da notare l’aspetto irregolare delle fibre nella sede della rottura.
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Figura 6 — Immagine ecografica: doccia bicipitale vuota per il distacco prossimale del tendine.
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Figura 7 — Immagine ecografica della meno frequente lesione del capo d’inserzione comune del bicipite.

Capsulite adesiva

La capsulite adesiva o frozen shoulder è una condizione rara nei soggetti con età inferiore ai 40 anni ed è caratterizzata dalla perdita quasi completa dei movimenti sia attivi che passivi su tutti i piani, a cui si associa un intenso dolore specie nelle fasi iniziali. Nella maggior parte dei casi è idiomatica, ma può associarsi ad artriti infiammatorie, al diabete, all’immobilità, anche dovuta a cause neurologiche (ictus, neglect) o a ridotta soglia del dolore.

La capsula articolare si contrae e s’ispessisce, andando ad aderire al collo dell’omero; a ciò segue pure la retrazione della piega ascellare, con conseguente limitazione del movimento.

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Figura 8 — Ispessimento della capsula in corso di capsulite adesiva.

Classicamente, sono riconoscibili 3 fasi di malattia:

  1. la fase di congelamento (freezing), nella quale prevalgono il dolore e l’iniziale limitazione del movimento;
  2. la fase congelata (frozen), nella quale prevale l’immobilità;
  3. la fase finale di scongelamento (thawing). Il processo può completarsi spontaneamente nell’arco di oltre un anno, ma, in assenza di trattamento, non è garantita la restitutio ad integrum. L’ipotrofia muscolare accompagna tale condizione già dalle fasi precoci.

Per ottenere il massimo beneficio dal trattamento è necessario riconoscere la fase di malattia per poter programmare un intervento combinato medico-riabilitativo. L’intervento riabilitativo va iniziato il più precocemente possibile, con esercizi progressivi. L’intervento farmacologico prevede l’uso di antinfiammatori e steroidi sia locali che sistemici e analgesici.

La capsulite adesiva non ha un corrispettivo radiologico. Viene diagnosticata in maniera clinica, e talvolta è possibile rilevare nelle immagini di RM un ispessimento soprattutto inferiore della capsula articolare. Nel caso in cui siano presenti, è possibile evidenziare delle lesioni che si accompagnano o hanno provocato questa patologia.

Trattamento riabilitativo

La terapia riabilitativa si basa sul controllo del dolore, e le indicazioni sono analoghe a quelle per l’impingement dei rotatori. Inoltre dev’essere attuato un piano basato sulla prevenzione della rigidità, impiegando tecniche di stretching, esercizi pendolari, manovre manipolative tipo McMennell.

Neuropatia sovrascapolare

La neuropatia sovrascapolare è una rara condizione che colpisce il nervo sovrascapolare innervante i muscoli sovraspinato e infraspinato. La causa può essere traumatica, da overusedella spalla o da frattura scapolare. La compressione sul nervo avviene nell’incisura sovrascapolare.

Il quadro si caratterizza per debolezza nell’esecuzione dell’abduzione con extrarotazione; a volte si può assistere all’atrofia dei muscoli corrispondenti. La diagnosi è confermata con esame elettromiografico. Il trattamento è generalmente riabilitativo, e vi si può associare il trattamento locale con corticosteroidi, nei casi resistenti alla decompressione chirurgica.

Trattamento riabilitativo

Il trattamento riabilitativo di solito prevede una tonificazione muscolare mirata a riequilibrare la muscolatura della spalla in toto mediante esercizi di rafforzamento prevalentemente dei muscoli extrarotatori nelle loro componenti funzionanti; in genere il maggior lavoro viene fatto sul muscolo piccolo rotondo per ridurre lo squilibrio delle coppie di forza e il sovraccarico funzionale.

Di fondamentale importanza risultano gli esercizi passivi e attivi assistiti, volti a recuperare il ROM ma soprattutto la propriocezione e il controllo scapolare. Le forme più comuni rispondono positivamente alla terapia riabilitativa entro 6 mesi. Qualora invece la causa della neuropatia sia riconducibile alla compressione di masse, oppure la terapia riabilitativa non abbia dato buoni risultati, si rende necessario ricorrere all’intervento chirurgico decompressivo, possibile in taluni casi anche per via artroscopica. Di rado si assiste dopo l’intervento a un effettivo incremento del trofismo del sottospinato e pare che il suo recupero sia legato soprattutto alla precocità dell’intervento, oltre che a un adeguato programma riabilitativo post-operatorio.

Paralisi del nervo toracico lungo

La paralisi del nervo toracicolungo porta a debolezza del muscolo dentato anteriore, che provoca la scapola alata. Il dolore può essere avvertito dalla base del collo ed estendersi alla regione sovrascapolare e al deltoide. La scapola alata si visualizza facendo spingere le braccia distese contro una parete. Si associa a overuse di spalla o a traumi diretti, come il trasporto di carichi pesanti, oppure al diabete, ma spesso è idiopatica e autolimitantesi. Il trattamento è riabilitativo.

Trattamento riabilitativo

Gli obiettivi riabilitativi della fase iniziale (acuta) sono:

  • ridurre il dolore;
  • risolvere e prevenire le contratture muscolari;
  • economia articolare.

Viene considerata come fase acuta quella che inizia dall’evento acuto e dura circa 2-3 settimane. In questa fase, il fisioterapista deve fare molta attenzione alla posizione dell’articolazione glenomerale per non far rischiare impingement glenomerale al paziente, dovuto alla riduzione della forza stabilizzante del gran dentato, con conseguente instabilità della scapola.

Percorso riabilitativo. Di primaria importanza è insegnare al paziente come modificare, ridurre ed eventualmente sospendere tutte quelle attività che possono sovraccaricare la spalla (movimenti di elevazione o di sollevamento di carichi) e aumentare l’instabilità. È importante che il fisioterapista conosca la motivazione che ha scatenato la paralisi del nervo, così da poter sconsigliare le posture più pregiudizievoli (ad esempio, bisogna evitare posizioni di decubito laterale con la mano dietro la testa e posizioni di abduzione e rotazione esterna dell’arto mantenute per lunghi periodi).

Sarà necessario effettuare delle mobilizzazioni passive e attive preferibilmente in posizione supina, così da sfruttare il peso del corpo come stabilizzatore della scapola contro la parete toracica.

Gli obiettivi della fase intermedia sono:

  • mantenere il ROM completo;
  • prevenire le contratture muscolari;
  • evitare l’allungamento del muscolo denervato.

La fase intermedia inizia quando si riduce il dolore. In tale fase il nervo è nella sua fase di guarigione, ma resta una debolezza significativa al cingolo scapolare. Il muscolo denervato è infatti a grosso rischio di contrattura, come pure i muscoli antagonisti. Durante questa fase è importantissimo evitare con qualunque mezzo l’allungamento del muscolo denervato, giacché in tal caso il recupero è assai più lento. Bisognerà porre molta attenzione alla posizione che i muscoli antagonisti assumono, in quanto, non più stabilizzati dal muscolo agonista, andranno incontro a significativi accorciamenti. I muscoli antagonisti dell’upward rotation della scapola sono i romboidi, l’elevatore della scapola e il piccolo pettorale. Lo stretching passivo di questi muscoli è pertanto utilizzato per conservare la lunghezza muscolare del dentato anteriore, il cui allungamento viene eseguito solo dopo la ripresa dell’innervazione.

Percorso riabilitativo. È necessario effettuare la mobilizzazione passiva in tutto l’arco completo di movimento, lo stretching dei muscoli dorsali e, nel compartimento anteriore, del muscolo piccolo pettorale. È inoltre necessario impostare un programma di lavoro su alcuni gruppi muscolari, tra cui il trapezio inferiore, che ha l’importante compito di proteggere il muscolo denervato (dentato anteriore) dallo stretching eccessivo.

Gli obiettivi della fase terminale sono:

  • migliorare la forza;
  • migliorare la stabilizzazione scapolo-omerale;
  • aumentare i movimenti overhead.

La fase tardiva è caratterizzata dal progressivo recupero della funzione e della forza muscolari. Solitamente avviene dopo 6-8 mesi dalla comparsa dei sintomi. Mano a mano che il dentato diventa più forte, anche la meccanica del cingolo scapolare migliora.

Percorso riabilitativo. Si basa in prevalenza sul rinforzo muscolare del trapezio superiore e inferiore, utilizzando esercizi di rafforzamento sincrono del trapezio, del dentato, dei muscoli elevatori e di tutti i muscoli del collo.

La plessopatia brachiale

La plessopatia brachiale (o plessite) si presenta con un dolore di tipo profondo e lancinante o a fitta a rapida insorgenza, aggravato dall’abduzione e rotazione del braccio e seguito dalla debolezza di tutto il cingolo scapolare. L’esame elettromiografico e la RM possono confermare la diagnosi.

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Figura 9 — Plesso brachiale normale visualizzato con esame di RM.
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Figura 10 — Plesso brachiale visualizzato con ultrasuoni.

Il recupero può avvenire spontaneamente nell’arco di un mese oppure in parecchi anni. Le cause sono generalmente il trauma anche chirurgico (sternotomia), i tumori, la radioterapia, le infezioni, la neuropatia da inoculo (vaccini), il diabete, oppure la plessopatia può essere idiopatica. L’intervento fisioterapico è di supporto alla conseguente atrofia muscolare. La terapia medica varia in base alla causa scatenante.

Sindrome dello sblocco toracico superiore

La sindrome dello sbocco toracico superiore si caratterizza per numerosi segni e sintomi derivanti dalla compressione del fascio neurovascolare al passaggio del plesso brachiale e dell’arteria e vena succlavia dall’outlet toracico superiore, che è costituito dal margine della prima costa, dal muscolo scaleno anteriore e dal muscolo scaleno medio.

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Figura 11 — Sindrome dello stretto toracico superiore con compressione della vena succlavia tra il legamento costo-clavicolare e i muscoli scaleni.

Il quadro clinico varia in base a quale struttura, nervosa, venosa o arteriosa, viene compressa, a che livello e a quale grado di compressione. Possono prevalere i sintomi neurologici, come dolore, parestesie e intorpidimento, che s’irradiano dalla base del collo fino alla mano, specie a livello delle dita, o i sintomi vascolari, come cambio di temperatura, dolore da uso, marezzatura o fenomeno di Raynaud. Durante il decorso di malattia, e a causa degli aggiustamenti posturali antalgici, i sintomi neurologici e vascolari si possono alternare o sovrapporre.

Per la valutazione di una sospetta sindrome dello stretto toracico superiore, il paziente può essere valutato con esame TC spirale con mezzo di contrasto per valutare il decorso delle strutture basali e delle strutture nervose rispetto ai muscoli scaleni e alle strutture ossee sia in posizione neutra che in posizione diversa del braccio, in modo da determinare una compressione delle strutture esaminate. Può essere effettuato anche un esame ecografico con color-doppler sia in posizioni differenti del braccio che, soprattutto, in posizione col braccio alzato, per valutare la riduzione o interruzione del flusso sanguigno nel corso della compressione.

Il trattamento è conservativo, con particolare enfasi alle correzioni della postura, allo stretching degli scaleni e dei pettorali, alla mobilizzazione della scapola e al rinforzo della muscolatura del cingolo scapolare. Nei casi resistenti può essere eseguita la resezione chirurgica della prima costa e del muscolo scaleno o la correzione di anomalie anatomiche (coste sovrannumerarie).

Osteonecrosi

L’osteonecrosi si caratterizza per la necrosi cellulare ossea da mancato apporto ematico, e la sua estensione riflette perfettamente il livello di compromissione vascolare. Le cause di ostruzione del circolo ematico terminale possono essere intraluminali (ad esempio emboli) o da compressione ab estrinseco. Alcune condizioni cliniche sono direttamente associate (traumi, fratture e lussazioni, radioterapia, terapia steroidea ad alte dosi ecc.), mentre altre sono possibilmente correlate all’insorgenza di malattia (diabete, psoriasi, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, chemioterapia ecc.).

L’osteonecrosi della testa omerale si presenta spesso con precoce limitazione funzionale attiva e movimenti passivi conservati. Il dolore è sovente irradiato alla tuberosità deltoide dell’omero, e, dato che la spalla non è un’articolazione sottoposta a carico, il sintomo può essere lieve e transitorio; pertanto questa condizione è spesso misconosciuta.

La diagnosi va basata sul sospetto clinico, visto che i test diagnostici variano in base allo stadio di malattia. I segni radiografici di osteonecrosi in Rx tradizionale possono essere visualizzati anche dopo diversi mesi o anni dall’esordio.

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Figura 12 — Necrosi della testa omerale radiologicamente visibile in fase iniziale come addensamento dell’osso subcondrale.
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Figura 13 — Irregolarità della superficie omerale e perdite di sostanza ossea visibili radiograficamente nelle fasi successive.

La RM, invece, è il gold standard per la diagnosi precoce.

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Figura 14 — Immagine RM: zona di osso necrotico circondato da un orletto idratato di edema della spongiosa.

Il trattamento conservativo include la terapia medica e il controllo sintomatologico, cui va associata una regolare riabilitazione. L’opzione chirurgica è da considerare quando l’area di necrosi è estesa, la compromissione funzionale dell’arto non è recuperabile con la sola riabilitazione o il dolore è scarsamente controllabile con la terapia medica.